domenica 1 gennaio 2017

il canto virile della s. Messa

Cluny: vita hominis Militia



«In questo luogo si celebra così spesso il sacrificio vivificante, che quasi giorno non passa senza che, con questo mezzo, delle anime vengano strappate alla potenza maligna dei demoni. A Cluny, infatti, ne siamo stati testimoni noi stessi, un’usanza, resa possibile dal gran numero dei monaci, vuole che si celebrino senza interruzione messe dalla prima ora del giorno fino all’ora del riposo. Vi si mette tanta dignità, pietà, venerazione, che uno crederebbe vedere piuttosto angeli che uomini». 


Il Cattolicesimo o è militante o non è. Non si può vivere la Fede cristiana senza combattere contro i nostri peccati personali, «contro gli spiriti maligni del mondo invisibile» e contro coloro che favoriscono il male su questa terra.

Il cristiano deve cingersi «i fianchi con la verità», rivestirsi «con la corazza della giustizia», calzare «lo zelo per propagandare il vangelo della pace», impugnare «lo scudo della fede», indossare «l’elmo della salvezza» e brandire «la spada dello spirito, cioè la parola di Dio». In caso contrario, soccomberà sotto i colpi del Maligno. Quanto detto sopra vale, ancor di più, per gli uomini di Chiesa: finché essi continueranno a temere di indossare la loro divisa (la talare), finché non torneranno ad affermare con forza che Cristo deve regnare nei cuori degli uomini e sulla società intera, finché non torneranno ad offrire l’unico vero sacrificio gradito a Dio e odiato da Satana, essi continueranno a servire Barabba e a crocifiggere Cristo.


Se dovessimo scegliere un esempio di cattolicesimo militante (tra i moltissimi che potremmo scegliere), torneremmo all’inizio del X secolo, più precisamente al 910 d.C., quando alcuni monaci decisero di vivere la regola di san Benedetto nella sua integrità, fondando l’abbazia di Cluny. Questi uomini, spesso appartenenti a nobili famiglie, «si sentivano arruolati nelle milizie celesti». Non cavalieri del secolo, ma milizia di Cristo. Del resto, «il monachesimo benedettino aveva modi da combattente; aveva preso a prestito all’esercito romano il vocabolario, i riti di professione, concepito il dormitorio monastico come una camerata, e il chiostro come una sala di guardia. E tutta la sua morale si riassumeva in quel conflitto armato tra le virtù e i vizi che si potevano vedere rappresentati corpo a corpo corazzati sui capitelli delle abbaziali». I monaci cluniacensi iniziarono quindi a modellare la loro vita seguendo l’esempio cavalleresco: truppe scelte, all’«assalto del Paradiso».


Da sempre, i soldati hanno elaborato canti per beffare o incutere timore al nemico e i monaci cluniacensi non furono da meno. Come rileva Duby, la salmodia cluniacense rappresenta «la sublimazione delle veemenze cavalleresche». Il coro dei cluniacensi, in cui le voci dei monaci si fondevano “come un sol uomo”, rappresentava il canto virile di nobili cavalieri che si scagliavano contro le «mura di Gerico che separano ancora l’umanità dalle gioie future», per «forzare l’entrata della Terra Promessa».


Come cattolici militanti dobbiamo lottare ogni giorno contro i demoni che ci assalgono. Cadremo, forse. Ma, come scrive Domenico Giuliotti, «chi lotta, anche se perde, vince. Per il solo fatto di lottare, tu vinci in te, l’ignavia, il dubbio, il timore. E dunque anche questa sola vittoria ti darà, se non altro, la soddisfazione d’esserti comportato secondo la tua vera natura, che è d’uomo (cioè semidivina) e non di porco o di pecora».

Testo di anonimo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso

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