martedì 1 dicembre 2015

MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA?

I santi e l'inferno 





MA IL CRISTIANESIMO NON È GIOIA?


Si può pensare che la riflessione e il pensiero dell'inferno siano in contrasto con l'essenza della salvezza che è gioia e trionfo di essere. Certo, la salvezza è e dovrebbe essere espressione di purissima gioia. L'essere, infatti, liberati dalla catena del peccato, e ritrovarsi figli adottivi di Dio e commensali degli angeli, predestinati ad una felicità eterna, ecc., sono tutte realtà e fonti di inesauribile gioia spirituale. Ma sono tanti, purtroppo, a non capire e a non voler capire. Misteri così gaudiosi sono per loro parole senza senso che non impressionano nemmeno l'epidermide della loro anima. Di qui quasi la necessità, -risultando incomprensibile il linguaggio dell'amore -, di far ricorso anche ai mezzi che incutono paura.

Si può e spesso si deve parlare anche di inferno per quegli stessi che camminano sul retto sentiero, perché la salvezza, finché si è su questa terra è sempre ancora a rischio. Come in ogni sperata conquista, fino a quando questa non è stata effettivamente raggiunta, si ha sempre timore di non farcela.

Di qui, quindi, anche la certezza che il pensiero o la meditazione sull'inferno "non è ... una distorsione del mistero cristiano di salvezza, né un'evocazione di verità esotiche".

A coloro che insistessero a parlare solo di amore (Dio va servito con l'amore e non nella paura, ecc.) è bene ricordare che tutto ciò che comunque avvicina a Dio, è buono. Poiché il timore dell'inferno allontana dal peccato, può essere questo il primo passo per l'auspicata riconciliazione con Dio. L'ideale resta sempre quello di tendere e operare per amore, ma quando l'amore non c'è o non ci si è ancora arrivati, il timore può essere utile, per sfuggire ai lacci e ai tranelli che, numerosi, possono o tendono ad ingannare le anime, mettendone a rischio la salvezza eterna.

Bisogna pure ammettere che la meditazione sull'inferno può essere deprimente per delle anime profondamente cristiane, ma la ripugnanza del mondo così accentuata oggi facilmente è "una maschera che nasconde il fondo di angustia che attanaglia ogni spirito umano".

CONVERTITI DALLA PAURA

Quanto bene possa fare il pensiero dell'inferno, ce lo dice - un esempio tra i tanti - quanto avvenuto ai funerali di un famoso maestro della Sorbona di Parigi, Raimondo Diocré. L'episodio, clamoroso e famoso, fu, al dire di P. Tomaselli, riportato dai Bollandisti ed analizzato rigorosamente in tutti i suoi particolari. Lo riportiamo qui nelle sue linee essenziali.

Alla morte dunque del professore famoso, avvenuta a Parigi, si prepararono solenni funerali nella Chiesa di Notre-Dame. Vi parteciparono professori e uomini di cultura, autorità ecclesiastiche e civili, discepoli del defunto e fedeli di ogni ceto. La salma, collocata al centro della navata centrale, era coperta da un semplice velo.

Si iniziò a recitare l'ufficio dei defunti. Arrivati alle letture bibliche, e precisamente alle parole: "Responde mihi: Quantas habeo iniquitates et peccata... ", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!". Con sgomento e paura si tolse il velo, ma la salma era ferma e immobile. Si riprese l'ufficiatura interrotta fra il turbamento generale. Arrivati al versetto predetto, il cadavere si alzò a vista di tutti e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!". Spavento e terrore si impadronirono di tutti. Alcuni medici si avvicinarono allora alla salma ripiombata in piena immobilità, ma constatarono che il morto era veramente morto. A questo punto non si ebbe il coraggio di continuare il funerale, rimandando tutto all'indomani.

Le autorità ecclesiastiche non sapevano cosa fare: alcuni dicevano, è dannato e perciò non si può pregare per lui; altri invece dicevano: non si può ancora parlare di dannazione certa, pur essendo stato accusato e giudicato. Il Vescovo ordinò che si riprendesse a recitare l'ufficio dei morti. Ma al famoso versetto, nuovamente il cadavere si alzò e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".

Ormai era sicuro che il defunto era dannato. Il funerale cessò e si credette bene non seppellire la salma nel cimitero comune.

Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore di Diocré, che rimase profondamente scosso da quanto accaduto. Pur essendo già un buon cristiano, risolvette di abbandonare tutto e darsi alla penitenza. Con lui altri decisero la stessa cosa. Brunone divenne il fondatore dell'Ordine dei Certosini o Trappisti, Ordine tra i più rigorosi della Chiesa Cattolica. Ma a dissipare ogni dubbio e perplessità, affacciati da sistemi pedagogici e psicologici ecc., è sufficiente ricordare che di inferno ha parlato, - e in che modo! - la stessa Vergine SS. Ai tre bambini di Fatima, una di 10 anni, l'altra di sette anni e il terzo di cinque anni! Brutto segno allora che, oggi, quasi non si parli più dell'inferno.

In merito già il Claudel diceva: "Una cosa mi turba profondamente ed è che i sacerdoti non parlano più dell'inferno. Lo si passa pudicamente sotto silenzio. Si sottintende che tutti andranno in cielo senza alcuno sforzo, senza alcuna convinzione precisa. Non dubitano nemmeno che l'inferno sta alla base del Cristianesimo, che fu questo pericolo a strappare la Seconda Persona alla Trinità e che la metà del Vangelo ne è piena. Se io fossi predicatore e salissi in cattedra, proverei in primo luogo il bisogno di avvertire il gregge addormentato dello spaventoso pericolo che sta correndo".

PERCHÉ È UTILE IL PENSIERO DELL'INFERNO

Ma, in concreto, perché è utile il ricordo e la riflessione sull'inferno? Soprattutto perché tale pensiero aiuta potentemente a tener lontano e a vincere tutte le suggestioni del male, del peccato che, a volte, sono tali da travolgere anche i più radicati nel bene. E il peccato - lo si sa - è il vero e più terribile nemico dell'uomo, perché strumento di sicura dannazione e l'unico grande ostacolo alla comunione con Dio e alla vita autentica dello spirito.

Naturalmente, invitando a riflettere e a parlare di inferno, non si può dedurre, come già detto, che tutto - nella religione cattolica - è basato sul terrore. Gesù, anche quando parla dell'inferno, parla per salvare le anime, indicando loro la via della salvezza.

E tutto ciò è sempre amore che incita, incoraggia, corregge, esorta. E chiunque può, così deve impostare la sua vita sui grandi misteri e beni della speranza cristiana.
Bisogna ringraziare il Signore anche per queste visioni o apparizioni avute dai Santi, essendo per tutti anche - come vedremo - dei richiami di amore, delle prospettive aperte su realtà che riguardano gli uomini di tutti i tempi e di ogni condizione. A chi si danna il Signore non può che ripetere quelle parole della Scrittura: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?" (Is 5,4).
http://gloria.tv/media/fuqpK8yuy9t

Nessun commento:

Posta un commento