domenica 9 agosto 2015

Gender a scuola e l' Osservatore Romano

Gender a scuola, 
cosa nasconde la legge Fedeli

Pubblichiamo l’articolo apparso sulla newsletter dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan di Trieste, che analizza, articolo per articolo, il disegno di legge della senatrice del Pd Valeria Fedeli sull’insegnamento del gender nella scuole italiane. 

Vale la pena di analizzare il ddl Fedeli quando l’educazione di genere sembra ormai essersi infilata di straforo nel sistema scolastico, attraverso il voto di fiducia sulla cosiddetta “Buona Scuola”? Vale certamente la pena di analizzarlo.
Esaminiamolo dando innanzitutto il titolo esatto: “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. Porta la firma di Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato; i firmatari sono in tutto 40: 35 senatori del Pd, 1 dei “Conservatori, Riformisti Italiani”, 1 del Psi-Autonomie, 1 del gruppo Misto-Sel, 2 del gruppo Misto. Rileviamo fin dal titolo che si rivolge al sistema nazionale di istruzione e alle università: quindi tutte le scuole, anche le materne, anche le scuole paritarie, anche le scuole paritarie cattoliche, anche le università dove si formano i futuri formatori. Punta alle attività e ai materiali didattici: non quindi i classici “corsi opzionali”, ma un inserimento nel cuore della formazione curriculare. Il ddl Fedeli è costituito da una lunga premessa di presentazione e da 6 articoli.

Art. 1 - Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere
Si parte nella maniera classica «per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea». Al comma 2 si dà il primo “colpetto”: «promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza».La corporeità sessuata come superficie neutra comincia a prendere consistenza.

Art. 2 - Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere
Il sesso, citato all’art.1, sparisce. La citazione infatti serviva solo a “far credere” che si parlasse dei due sessi. Da qui in poi il sesso scompare (nei titoli non compare nemmeno) e si parla solo di genere. I numeri parlano da soli: il sesso compare 3 volte nella premessa (+ altre 5 volte in connotazione negativa: “sessismo” e simili) e 2 volte negli articoli del DDL; il genere compare 30 volte nella premessa, 4 volte nei titoli, 8 volte negli articoli. La “parità dei sessi” è quindi il cavallo di Troia per far entrare il gender nelle scuole. I richiami continui alle linee europee (12 volte è citata l’Europa nella premessa) non lasciano dubbi in proposito. Da adesso si parla di «linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale».

Art. 3 - Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico
«[…] corsi di formazione obbligatoria […] per il personale docente e scolastico». Indottrinamento gender obbligatorio: le organizzazioni che fanno questo tipo di corsi sono tutte di area Lgbt.

Art. 4 - Università
«Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione di genere di cui all’articolo 1». Formare i formatori è l’ovvio corollario. Chi si occupa degli “studi di genere” sono solamente gli “ideologi del gender”, e saranno i padroni dell’Università in questo campo. Se non sei ideologizzato, come puoi occuparti di questi studi, che non tengono conto delle due cose basilari del sapere, ossia la realtà osservabile e la logica?

Art. 5 - Libri di testo e materiali didattici
«A decorrere dall’anno scolastico 2015/ 2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione «Pari opportunità nei libri di testo» (Polite)». Anche in questo testo il genere domina e il sesso sparisce: 14 volte “genere”, 1 volta “sessi” (ma è in una frase subordinata al concetto di “identità di genere”). Cavallo di Troia è la frase “culture e competenze di ambedue i generi”.

Art. 6 - Copertura finanziaria
La copertura finanziaria non viene assicurata con nuove tasse, ma con la «riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98». Minori detrazioni significa nuove tasse, ma i nostri parlamentari sono abili a giocare con le parole.

Nel ddl Fedeli i cavalli di Troia per introdurre l’ideologia gender ci sono tutti: Pari opportunità (12 volte), Differenze (11 volte), Discriminazione (3 volte), Violenza [contro le donne] (8 volte). Non si parla di “omofobia” per un motivo molto semplice: il ddl Fedeli lavora in sinergia col ddl Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia. Ad esempio il ddl Fedeli non definisce la “identità di genere”, ma dà per scontata la definizione del ddl Scalfarotto: «identità di genere: la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico». Il vocabolario gender invade tutto il ddl Fedeli: Identità di genere (7 volte), Stereotipo, e varianti (18 volte), Decostruzione (2 volte), Sessismo, e varianti (5 volte), Ruoli stereotipati, ruoli non stereotipati (3 volte).

Sì, è un ddl molto pericoloso. Introduce dall’alto un linguaggio e una cultura che nelle scuole è già largamente presente, ma solo per “osmosi” attraverso la mentalità gender che gli insegnanti, come tutti, bevono da giornali e Tv. Qui invece si passa all’indottrinamento obbligatorio su linguaggi e categorie di pensiero create da una piccola minoranza ideologizzata.

Salute riproduttiva. “L’Osservatore” tace, “Avvenire” canta




onu

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/08/08/salute-riproduttiva-losservatore-tace-avvenire-canta/
Sulla prima pagina dell’edizione del 5 agosto, “L’Osservatore Romano” ha dato notizia dei diciassette obiettivi del millennio “per lo sviluppo sostenibile” del pianeta, in procinto di essere approvati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e da attuare da qui al 2030.
Assieme alla lotta alla povertà, alla fame, al degrado climatico, il giornale vaticano riferisce che tra questi obiettivi ci sono anche quelli di assicurare la “buona salute” e la “parità di genere”.
Non una parola di più. Ma se si va a leggere il documento dell’ONU nel suo testo integrale, si scopre che nel paragrafo 3.7 c’è l’esplicito riferimento alla necessità di “assicurare l’accesso universale ai servizi di salute sessuale e riproduttiva” e nel paragrafo 5.6 si specifica che i “diritti riproduttivi” sono quelli “stabiliti in accordo con il programma di azione della conferenza internazionale su popolazione e sviluppo [del Cairo] e con la piattaforma di azione di Pechino”:
Un linguaggio cifrato, questo usato dell’ONU, che in Vaticano – dopo tante battaglie e anche dopo alcune recenti polemiche – sanno benissimo cosa vuol dire, ma su cui “L’Osservatore” ha scelto di sorvolare.
Ma a decrittare tale linguaggio ha provveduto negli stessi giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha pubblicato le sue nuove linee guida per gli operatori impegnati nel campo, appunto, della “salute riproduttiva”:
Ed è stato non il quotidiano della Santa Sede, ma quello della conferenza episcopale italiana “Avvenire” a sollevare il velo sabato 8 agosto, con una nota di Lorenzo Schoepflin chiarissima fin dal titolo (quello stampato su carta):
Schoepflin riferisce che secondo l’OMS “sarebbero quasi 13 milioni i professionisti dell’aborto mancanti rispetto all’effettiva necessità globale, che riguarda soprattutto i paesi in via di sviluppo”.
Tra i motivi che ostacolerebbero il ricorso all’aborto vengono citati nel documento anche le politiche e i regolamenti di molti Stati e l’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte di tanti operatori sanitari. A proposito dei quali l’OMS sollecita di potenziare la formazione, per “aiutare i soggetti coinvolti a superare le proprie convinzioni personali, al fine di assicurare comunque aborto e contraccezione come servizi minimi garantiti”.
Conclude Schoepflin:
“Le linee guida dell’OMS sono infarcite di ogni possibile dettaglio circa tutto ciò che riguarda la sfera della ’salute riproduttiva’, divenuta ormai un dogma per l’ONU: dall’aborto chirurgico e con pillola RU-486 alla cura delle infezioni e delle emorragie causate dall’interruzione di gravidanza, dall’uso della spirale fino alla chiusura delle tube e all’uso di contraccettivi iniettabili. Per ognuno degli interventi viene definita la necessità di coinvolgere personale medico addestrato. Le linee guida sono destinate anche ai legislatori, che dovrebbero impegnarsi quindi affinché quanto suggerito dall’OMS venga recepito dalle leggi nazionali, soprattutto in quei paesi nei quali la strada per l’aborto non è spianata come l’ONU auspica”.

Nessun commento:

Posta un commento