martedì 5 maggio 2015

convertire i cattolici a PANNELLA


Alla fine sono stati i radicali come 

Pannella e Bonino a convertire i cattolici




(una proposta che si può sottoscrivere in questa pagina) – 

Il paradosso – ma non troppo, come vedremo – è che se c’è un giornale che per il suo imprinting ha addirittura rischiato di essere diretto da Marco Pannella, quel giornale è Tempi. E non sto scherzando. Fu la prima idea di direttore buttata lì come provocazione da un amico prete. Il cristianesimo è libertà. «Perciò noi siamo disposti ad andare anche tra le gambe del diavolo. Basta una pagina espressiva di quello che siamo noi. Illuminerà tutto il restante». E infatti, in “quello che siamo noi” c’è lo spirito di un giornale che sta all’estremo opposto della concezione esistenziale “radicale”.

Poiché per la natura ideale di questo giornale, libertà (in cultura come nella politica, nell’economia come nella concezione dei rapporti umani e delle opere sociali) è volontà energica di adesione alla verità, all’Essere, «ragione sottomessa all’esperienza». Altre declinazioni della libertà possono essere sorprese come approssimazione (o caricatura) della libertà. Nel caso, l’approssimazione “liberale liberista libertaria transnazionale, antiproibizionista…” e tutta l’aggettivazione con cui Marco Pannella ha via via connotato la propria azione “missionaria” in politica. Ed è significativa questa proliferazione di aggettivi. Così come proverbiale è la prolissità di Pannella.

Sembrano il tentativo di afferrare ed esaurire col pensiero, tipico dell’illuminismo, l’esperienza del reale. Tant’è vero che la più classica argomentazione di questo pensiero sul piano civile sembra di logicità implacabile: ma se tu non vuoi farlo (l’aborto, l’eutanasia eccetera), perché vuoi impedire a me di farlo? Il dialogo e la democrazia come competizione delle libertà diventano così pura forma (teatro delle opinioni), soccombenti alla pura potenza (teatro delle forze, economiche, mediatiche, giuridiche, politiche, internazionali, del Potere).

D’altra parte: che esempio di durata illuminista ha dimostrato il piccolo gruppo di fedeli infiammati dal “ministro del culto” (definizione di Pannella data da Giuliano Ferrara) che dall’anno 1955 predica a nome dei “radicali”. Sorta di Onu in miniatura che va in giro per il mondo pretendendo di risolvere i problemi del pianeta con l’idea giusta, con le giuste cause (risolvere il problema della “fame nel mondo” addirittura). Con gli appelli, le conferenze stampa, i referendum e le mozioni internazionali. Dalle cime del Nepal alla cima del Palazzo di Vetro, da Bruxelles alla Birmania, da Roma alle carceri di tutta Italia, i radicali hanno seminato il globo di attivisti del più puro e militante illuminismo democratico. Se ci pensate, il Partito radicale ha portato nel mondo un modello di agitatore, militante, attivista, che ha fatto del suo essere “minoranza” una potente leva di influenza delle maggioranze. Un vero e proprio lievito del mondo, per parafrasare il detto evangelico.

Il metodo politico per eccellenza
Tant’è che nelle democrazie odierne quello dei radicali è diventato il metodo politico per eccellenza. Sono stati i radicali italiani, grazie alla comprensione che per primi hanno avuto della comunicazione e della potenza persuasiva del gesto che diventa immagine, che hanno anticipato i successi delle attuali minoranze e lobby che impongono l’agenda politica con risultati che nessun partito di massa sa ottenere. Vedi l’agenda Lgbt che nel volgere di un decennio si è affermata come cultura di massa e legislazione internazionale.
Personalmente, ho sempre avvertito il carattere “cattolico” (cioè “universale” nel senso etimologico del termine) della sfida radicale. Intanto i fatti sono lì a documentare che solo il partito di Pannella ha attraversato metà del secolo scorso e mantiene tutt’ora una forza ben superiore al dato numerico dei suoi tesserati e militanti. Ancora oggi, i radicali sono il lievito dei cambiamenti sociali. Prova ne siano i temi all’ordine del giorno: dal divorzio breve alla fecondazione assistita, dall’eutanasia al matrimonio gay, sono tutte battaglie che sorgono e si affermano dentro la storia radicale. I partiti sono tutti morti e le chiese cristiane non si sentono molto bene. Ma Lorenzo Strik Leavers (che è ancora qui a lottare con Pannella mentre dietro di lui giovani leve seguitano a sorgere) aveva 15 anni nel 1955 quando discuteva in classe con don Giussani e stampigliava orgogliosamente il simbolo del Partito Radicale sui muri della cerchia dei Navigli. In questo senso Emma Bonino ha potuto affermare a ragione che «Amicone è un amico».

E proprio da Radio Anch’io, in cui la mattina del 22 aprile Emma Bonino riconobbe “amicizia” nell’opposizione di vedute, ci è venuta una “rivelazione”. Credo che l’idea di dedicare la trasmissione a lei sia nata da uno spunto nobile e umanissimo. Sappiamo che Emma sta lottando con un tumore ai polmoni. Ha voluto annunciarlo lei stessa, da Radio Radicale, esponendosi e non considerando la malattia estranea alla sua battaglia ideale e politica. Non solo. In quella stessa giornata il Parlamento avrebbe approvato in via definitiva il cosiddetto “divorzio breve”. Un modo perfetto per commentare la notizia.

«Grande Emma»
Diciamo un’altra cosa. Emma Bonino ha un profilo scabroso per noi cattolici. È andata in prigione per aver procurato aborti e si è battuta per ottenere legislazioni abortiste. È la famosa storia del meglio l’aborto legale che quello clandestino. Col limite di aggirare un male puntuale (“l’omicidio in pancia”, direbbe Giuliano Ferarra) e un serio caso di libertà (uccidere un bambino in pancia è libertà?) per arrivare infine – via libertà di solitudini – a rivendicare un “bene” sociale (abbattimento degli aborti clandestini e dei rischi per la salute di chi all’aborto ricorre). Mentre il “radicale” Pasolini ne faceva un problema di verità – cioè di “sacralità”, la vita non ci appartiene ed è il Potere che ci induce a pensare il contrario, come il poeta scrisse dichiarando il suo “no all’aborto” – i radicali tutti, da Pannella alla Bonino, ne hanno fatto il tema di libertà e giustizia per eccellenza, nel campo dei diritti civili e dello Stato di diritto. Ma non è questo il punto.

Il punto è il convergere del “cattolico” – e qui mi riferisco al “cattolico” in senso stretto – alla sostanza del pensiero radicale. Già il risultato storico del referendum sull’aborto (17 maggio 1981), con l’affermarsi di una maggioranza prossima al 70 per cento, conteneva in nuce questo convergere. Oggi si potrebbero votare eutanasia, matrimoni tra persone dello stesso sesso e tutto il resto dell’agenda politica radicale, e avremmo risultati analoghi a quelli del divorzio e aborto di anni Settanta e Ottanta. Ed ecco le ultime battute di Radio Anch’io, edizione del 22 aprile scorso.

Roberto: «Grande Emma. Da cattolico condivido le sue battaglie perché mi sto commuovendo nel sentire le parole di una persona che chiede veramente di non dover soffrire fino alla fine, ma di poter scegliere il momento in cui potersene andare in serenità. È veramente una battaglia, come tutte le battaglie che ha fatto Emma: sono battaglie da cattolico… Perciò, se possibile: diamo queste libertà! Queste libertà non sono libertà da dover prendere e usare selvaggiamente, ma ognuno di noi sa cosa farne. Io e mia moglie abbiamo fatto i corsi per i fidanzati per la parrocchia dove abitiamo: io vi posso dire che se non ci fosse stato il divorzio sapeste quante coppie infelici ci sarebbero ancora adesso in giro! Perciò, grande Emma. Se posso: vai avanti per la tua strada. Ti ringrazio, arrivederci».

Emma Bonino: «Volevo chiudere con un ricordo di mia madre. Mia madre e tutta la mia famiglia in generale sono cattolici e praticanti, ed è stata sempre la mia più grande sostenitrice. Semplicemente pensando che magari la pensava diversamente, ma credeva di capire che cos’è la possibilità di vivere diverso, di scegliere e di rispettarsi comunque. Lei, da cattolica, diceva: senza il libero arbitrio, senza la possibilità di scegliere, non è neanche il tipo, come dire, di “religione” a cui io sono così, affezionata…».

Conduttore: «Gli ascoltatori sono anche un po’ tutti commossi dalla bellezza e dalla nobiltà delle sue parole. C’è un minuto per chiederle, se crede, che cosa significa per lei la parola libertà». Emma Bonino: «Responsabilità. La libertà senza responsabilità si chiama licenza ed è una cosa che francamente interessa poco. E la libertà si basa sullo stato di diritto, sulle regole, sul rispetto delle regole, quello per cui si battono Marco Pannella, Rita Bernardini e i radicali».

Libertà, responsabilità, coraggio, giustizia, dignità, diritto… Tutte le parole più nobili del mondo. Solo la parola “verità” non trova più posto. E con l’applauso commosso del cattolico. Ciascuno potrà valutare, sulla base della propria esperienza, quanto sia generalizzabile e identificabile nel tipo umano del Roberto di Radio Anch’io il “cattolico della strada” o il “cattolico anonimo” come lo chiamano i giornali stile la Repubblica.
E comunque, qualche ora dopo questa trasmissione, il Parlamento italiano votava il divorzio breve e il primo a esultare era il cattolico presidente del Consiglio. «Un altro impegno mantenuto. Avanti, è la #voltabuona”», scriveva il premier Matteo Renzi in un tweet. «Questo Paese lo cambiamo davvero», gli faceva eco la deputata Alessia Morani, relatrice del testo a Montecitorio assieme al forzista Luca D’Alessandro. Tutti cattolici. Tutti centrati sull’euforia del “cambiamento”. Non c’è alcun residuo di domanda, di perplessità, di scrupolo. Nessun residuo di “verità” disturba i festeggiamenti. Siamo «al passo coi tempi». O, come si dice, «al passo con i paesi più avanzati d’Europa».

Il divorzio breve sembrerebbe l’unica bella notizia nei giorni di tristezza per le centinaia di migranti africani affogati nel Canale di Sicilia. Di nuovo, completamente orfani della verità, nessuno coglie e fa esplodere in pensiero quello che ha colto, pensato e scritto il nostro Emanuele Boffi in una cronaca fattuale, scarna, al netto di tutte le belle parole sentite dai commentatori. Le autopsie hanno rilevato sulle braccia di certi affogati l’incisione nella carne di una preghiera e di una casa. «Possa Dio aiutarci» e i nomi dei loro villaggi. La verità della tragica avventura.

Marco che volle farsi Papa
Sul lato divorzio breve, invece, questa “verità” è apparsa come una reminiscenza lontana lontana. Ad esempio nell’articolo sulla Stampa del bravissimo cattolico Michele Brambilla. Una fantastica bandiera bianca issata sul ponte della storia. Dopo aver passato in rassegna i mali del passato (come se il passato fosse male, come se il passato del matrimonio dei nostri genitori e dei nostri avi fosse ascrivibile in toto, in ossequio allo schema radicale, a passato di violenza, di ipocrisia, di «divorzi alla Pietro Germi», con la lupara), «però – concludeva Brambilla – abbiamo perso qualcosa». Nostalgia. L’ultimo giudizio cattolico in società sembra essere la nostalgia per una verità che non c’è più. Giusto che Radio Radicale registri la resa. E infatti per la voce di Massimo Bordin, il radicale rende onore alla nostalgia.

Qual è il punto? I punti, in realtà, sono (almeno) due. Il primo sembra scontato. Però, non dal giorno in cui passò il divorzio, ma dal giorno in cui l’élite cattolica ha avuto un problema con la verità e se n’è fatta una ragione. Quando Marta Sordi ricordò che «in Cattolica furono ammessi ben due interventi pro divorzio e neppure uno contro. Mentre in Università statale persino Gabrio Lombardi, promotore del referendum antidivorzista, poté parlare», si riferiva a un’epoca in cui rettore dell’Università cattolica era Giuseppe Lazzati. «Un credente emblema del Novecento italiano», secondo l’autorevole e cattolicissimo storico del Mulino di Bologna e del Corriere della Sera di Milano Alberto Melloni. Lazzati stava dalla parte della storia. E i cattolici sono passati dalla parte della storia.

Chi non è dalla parte della storia? I poeti, gli artisti, i giornalisti (o almeno dovrebbero) che custodiscono la verità dei fatti. E poeta, artista e giornalista fu in un certo senso anche don Giussani, il cui movimento è coetaneo del Partito Radicale. Credo che le sue tre premesse al Senso religioso restino un grande programma di educazione alla verità e, quindi, di resistenza allo storicismo relativista. Dicono in estrema sintesi quelle tre premesse: primo, che se la conoscenza non “rispetta” l’oggetto, se non si piega all’oggetto, il primo svarione è che la cosa o l’altro (oggetto) diventano lo sgabello dei miei pensieri. Secondo, se la ragione non è apertura alla totalità, se non ammette la categoria della possibilità, il mio pensiero anticipa ed esaurisce la realtà e così, anche qui, la cosa e l’altro spariscono dall’orizzonte conoscitivo. Terzo, se la moralità non è amore alla verità («più di me stesso»), la morale diventa quella dettata dal Potere in un determinato momento storico.

Dopo di che, non è affatto strano che Pannella, Bonino, Bernardini, i tre maggiori leader radicali, abbiano per un verso o per l’altro matrice cattolica (la Bernardini è stata addirittura una delle leader dell’Azione cattolica). Così come non è strano che “maestri del sospetto” come Umberto Eco e “cattivi maestri” come Toni Negri siano stati capi di grandi associazioni cattoliche. Per completare il quadro dirò che un giorno Marco Pannella mi invitò nella sede del Partito Radicale a Roma «per fare esercizi spirituali». Così disse. Mi sfuggono i particolari, ma ho il vivido ricordo del racconto di una fanciullezza colma di attenzioni e di devozione cattolica. Aveva avuto uno zio vescovo e si potrebbe cogliere nello stesso leader radicale il piglio di un uomo che, in sintesi della predica, “volle farsi Papa”.

Infine, è il Partito radicale che ha catechizzato e convertito democristiani e comunisti. Non il contrario. Pregevole sintesi (ancorché imperfetta, direbbe Pannella) di questo catechismo è il Partito Democratico. E quanto dal Pd discende in educatori e “società civile”. Ma da destra a sinistra, passando per Grillo, tanti sono i radicali nel pensiero, in tutti i partiti e movimenti. Tutti (compresi i boy scout di Renzi) sono dalla parte della storia. Ma non dalla parte dell’esperienza che «ditta dentro amore», direbbero gli stilnovisti.

L’esperienza che colpisce nel segno
E così, torniamo a ricordare con l’ammirabile Walter Benjamin, poeta e scrittore che come Kafka immaginava di farsi trovare “degno” della verità anche se la verità non fosse arrivata, «si potrebbe parlare di una vita o di un istante indimenticabili anche se tutti gli uomini li avessero dimenticati». La verità è soprattutto «la morte dell’intenzione» (Benjamin) e soprattutto «esperienza che colpisce nel segno» (Arendt). Così è la musica, la poesia, l’arte. Possibilità della verità di trionfare sulla storia anche da seppellita viva (vedi l’umano nel secolo delle idee assassine, custodito non da Martin Heidegger ma da Vasilij Grossman).

Ho capito di più questa natura invincibile della verità agli ultimi esercizi spirituali di Cl. Mirabilmente accompagnati, settimana scorsa, dalla musica di Palestrina e dal fado portoghese, dai canti gaelici dell’VIII secolo e dal gregoriano, da un video di don Giussani e uno illustrativo dell’arte di Millet, pittore testimone di quella cristianità cara a Péguy, fatta di popolo e di lavoro, di umiltà e di onore, di uomini e donne ai margini di ogni mondanità, eppure protagonisti della storia.

Perché il mio amico David Jaeger, ebreo nato in Israele e col sogno di diventare rabbino, un giorno arrivò invece al cristianesimo, addirittura dopo aver letto l’enciclica di Pio XII sul “Mistico corpo di Cristo”? Perché se per una via, diciamo così, lineare, su terra cattolica e ambrosiana, Giussani ha potuto attestare con una umanità e fecondità eccezionali come la vita di Gesù è arrivata per una catena millenaria di amici «a mia madre, e mia madre l’ha detto a me», per la via dell’arte europea, a 16 anni, David trovò la domanda che non si aspettava. Il residuo di verità che non immaginava. E, infine, la risposta nel “Mistico corpo di Cristo”. La Storia dentro la storia.

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