venerdì 2 gennaio 2015

teologia delle pudenda

L’ABITO ED IL MONACO 
Antonio Margheriti Mastino

Oh cara talare, seconda pelle
Ho notato un’altra costante: tutti i preti e i vescovi che andavano in giro a commettere atti impropri, avevano premura di farlo sempre senza indossare (nonostante la presenza di molti feticisti del genere) le insegne del proprio stato di consacrati, dal clergy alla (figuriamoci!!) talare. Anche perché, diciamocelo, spesso l’abito lo hanno del tutto abbandonato anche nell’esercizio delle loro funzioni, semmai ne han portato uno.
Cosa strana, anomala assai per questi preti che inseguono caparbiamente una auto-secolarizzazione così furiosa: diplomatici, medici, magistrati, militari, avvocati, professoroni laicisti, salumieri, chiunque (persino i capi delle altre religioni), si son ben guardati dall’abbandonare le loro divise e livree, e nel loro caso per senso di corpo, pavoneria e poi perché sanno bene che la divisa fa il professionista e spesso uno si sceglie una professione per indossare proprio quella divisa. Nessuno al mondo vi ha rinunciato, nessun pazzo, tutti se lo tengono ben attaccato addosso … l’abito. Tutti tranne i soliti preti cattolici. Un vero mistero! Eppure la veste talare, le insegne del sacerdozio tutto sono tranne che vanità: semmai è segno di castigatezza e penitenza, di pietà, di dimenticanza e nascondimento di sé per lasciare tutto lo spazio al servo dei servi, all’Alter Christus, al sacerdote.
Ma la talare è anche una seconda pelle: sperimentare il peccato su di essa, avendola indosso, risulta arduo, inibente psicologicamente per il prete peccatore e per il suo complice, tanto palese e osceno è il sacrilegio. Perché sta lì a ricordarti sempre e a ricordarlo agli altri, che non appartieni più solo a te stesso, ché tu sei sacerdos in aeternum, sposo di Cristo, e che le tue mani sono consacrate, e che insieme alla tua persona insozzi lo stesso sacerdozio regale, che quella talare ti ricorda: violandola trascini con essa nella sozzura la Sposa e il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa. Davvero troppo da sopportare psicologicamente.
Molte, troppe volte, quasi sempre l’abito fa davvero il monaco. O almeno lo costringe a rimanere tale. Lo obbliga a ricordarsi del suo stato ogni momento. Ad avere rispetto per se stesso, anzitutto; e gli altri di lui. Quell’abito è prodigioso. Per questo la Chiesa vi ha sempre insistito nella sua millenaria sapienza, e l’attuale codice canonico lo annovera, parlando al muro, come “obbligatorio”. Anche per questo, i contestatori, gli apostati, gli spiritati del post-concilio, la prima cosa che fecero fu di strapparsi furiosi di dosso la talare, poi anche il clergy. Nello stesso momento – un attimo dopo, anzi – un terzo del clero mondiale lasciò dopo la talare anche il sacerdozio, spesso pure il cattolicesimo, e la fede stessa. Quasi sempre per convivere o convolare a nozze con le ex “perpetue” diventate nel frattempo amanti, fidanzate, mogli, ex mogli.
Ma allora davvero quell’abito fa il monaco. O ricorda al monaco di esserlo. Obbligandolo a restarci, con la massima dignità possibile.
Mi scrive il mio amico Carlo da Milano:  
Proprio il detto citato, “cucullus non facit monachum”, ha subito un completo ribaltamento di significato. Il senso originale era “l’abito non basta a fare il monaco”. Oggi per certuni il detto sarebbe invece una mera denuncia dell’ipocrisi … a dell’immagine, per la quale chi indossa l’abito lo farebbe solo per mostrare agli altri qualità che non ha. Oggi il significato del proverbio viene interpretato come “l’abito fa il non monaco” o addirittura come “la mancanza dell’abito fa il monaco”.

Ormai l’esperienza me lo ha insegnato: quando senti un prete, un vescovo all’improvviso parlare di cose “liberal”, contro il celibato, la castità, pro-preservativo e contraccezione (peggio del peggio: significa che vuole divertirsi senza prendersi responsabilità), a favore di coppie di fatto e magari omosessuali, non è perché dalla teoria vorrebbe passare ai fatti; ma al contrario, ai fatti è già passato da un pezzo, e ora vorrebbe fare del suo peccato di fatto, teoria e teologia. Autoassolvendosi, magari condannando tutti gli altri, Roma padrona, Roma ladrona in primis. Abbassa la religione, per innalzare se stesso. Non è la sua testa nè il cuore a parlare, ma, ancora una volta, le mutande. Se non fosse peccatore già da un pezzo, se al contrario fosse puro e santo, timorato di Dio, non ci verrebbe a fare la teologia delle pudenda.

http://www.papalepapale.com/develop/le-mutande-e-la-talare/

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