mercoledì 2 luglio 2014

E' cosa 'e niente

Chi sono i veri cristiani ideologici


Un tipico errore della Chiesa post-conciliare è quello di non voler essere attenti alla realtà delle cose. La vita di grazia diminuisce ... non fa nulla. Il senso del peccato diminuisce ... non fa nulla. Le famiglie si sfasciano ... non fa nulla. I matrimoni civili aumentano e in alcune zone d’Italia sono più numerosi di quelli religiosi... non fa nulla. I giovani hanno dimenticato completamente l’obbligo e il valore della castità prematrimoniale ... non fa nulla. Le leggi dello Stato recepiscono sempre più il relativismo etico dominante ... non fa nulla. Va tutto bene, è inutile preoccuparsi.
Un tipico errore che si manifesta in due atteggiamenti. 
Il primo atteggiamento minoritario è di chi dinanzi allo sfacelo fa silenzio, in un certo senso apprezza e – sempre in un certo senso – quasi spera che il trend continui su questa falsariga. Si tratta – diciamocelo francamente – dell’atteggiamento di quei cattolici che non hanno la coscienza pulita, che hanno molti disordini nella vita privata e che in questo modo sperano di poter tacitare la propria coscienza convincendosi che tutto sommato ciò sarebbe la dimostrazione che la Morale cattolica non può essere completamente rispettata e che deve cambiare radicalmente. 
Il modo invece maggioritario di manifestare questo errore è più complesso, è quello di chi si accorge che c’è molto che non va, ma nello stesso tempo si sforza di dimostrare che ciò che non va rientrerebbe in una sorta di crisi fisiologica della Chiesa. Non può non andare così: per liberarsi da “incrostazioni storiche” di contaminazioni con il potere e con certi conservatorismi, la Chiesa deve vivere una crisi, una crisi che la porterà ad una maggiore “spiritualizzazione” e ad essere più fedele al suo mandato.
Gli argomenti che si adducono ovviamente sono complessi, ma si capisce bene come alla base di questi vi è un’altra questione psicologica. Se per il primo atteggiamento la questione è più “bassa”, in un certo senso è una questione “di pancia”, per il secondo l’atteggiamento la questione è “di testa”. è la posizione ideologica che impedisce di capire. L’ideologia – si sa – è un’ipertrofia dell’intelligenza che, proprio perché ipertrofia, si traduce in un accecamento dell’intelligenza stessa. Una realtà quando cresce troppo finisce con l’annullare se stessa. Il cancro altro non è che una crescita impazzita delle cellule e un uomo che fosse troppo alto non riuscirebbe a vivere bene, non passerebbe facilmente attraverso le porte, non entrerebbe facilmente in un auto, non troverebbe facilmente vestiti da poter indossare o scarpe da poter calzare.
L’ideologia è l’intelligenza sproporzionata e ipertrofizzata che vuole prescindere dall’osservazione per affidarsi esclusivamente alle proprie costruzioni teoriche e intellettuali.
Spesso sentiamo l’attuale Pontefice parlare contro i cristiani “ideologici” e molti leggono questa definizione come un riferimento a cristiani di formazione tradizionale che sono soliti denunciare uno stato della Fede e della Chiesa tutt’altro che positive. Ora, la definizione è senz’altro da utilizzare perché c’è tanto “cattolicesimo ideologico” ai nostri giorni, ma chiediamoci: in chi c’è questo atteggiamento? A chi bisogna davvero affibbiare una simile etichetta? A chi legge le cose come stanno o a chi si illude che le cose vadano bene quando invece non vanno assolutamente bene? 
Molti conoscono la celebre frase di un noto teorico del socialismo sovietico: «Se i fatti non ci daranno ragione, peggio per i fatti!». Ebbene, in tanti – troppi – cattolici oggi si attaglia bene questa massima. Dinanzi alla crisi evidentissima della vita di grazia, dinanzi all’altrettanto evidentissima crisi della Chiesa, non bisogna mutare i dettami pastorali, le linee di tendenza, le programmazioni dei recenti decenni, il problema non starebbe lì, non può stare lì. Eppure, per evangelica sapienza, i cristiani dovrebbero essere arciconvinti che dai frutti si riconoscono gli alberi. 
Monsignor Giacomo Biffi, vescovo emerito di Bologna, utilizzando il suo inconfondibile stile nel suo Il Quinto Evangelo scrisse a proposito di questo atteggiamento così diffuso: «Il Regno dei cieli è simile a un pastore che avendo cento pecore e avendone perdute novantanove, rimprovera l’ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l’ovile, se ne va all’osteria a discutere di pastorizia». E pensare che queste cose Biffi le scrisse nel lontano 1969: una vera profezia. 
Nell’ultimo Avvento il cardinale di Vienna, monsignor Schonborn, ha predicato nella diocesi di Milano e per l’occasione ha detto parlando della Chiesa attuale: «[...] lasciamo la nostalgia degli anni Cinquanta, quelli della mia infanzia, nel villaggio, quando la chiesa si riempiva di gente per tre volte ogni domenica. Tutti in chiesa. Lasciamo la nostalgia per la vitalità dei nostri oratori degli anni Cinquanta e Sessanta». Eccolo il vero cristianesimo “ideologico”. Un conto è dire che, constatando la diversità fra il passato e il presente, il cattolico non debba abbattersi, altro è dire che vada abbandonata la nostalgia. Parole incomprensibili. Quando si perde qualcosa di bello, la nostalgia è più che opportuna, ed è l’unico atteggiamento umanamente ragionevole.
Certo, non bisogna deprimersi, anzi è necessario ancora più attivarsi, rimboccarsi le maniche e agire, convinti che le sorti della storia non sono nelle nostre mani ma in quelle di Dio e della sua Santissima Madre, ma un simile impegno può essere motivato solo da una costatazione intelligente: le cose ora non vanno bene, bisogna agire per modificarle. Dire di “lasciare la nostalgia” è quanto di più “ideologico” possa essere affermato in una simile situazione... a meno che non si desideri “apostatare”, cosa che non riteniamo possibile, ipotizzabile e concepibile in un cardinale di Santa Romana Chiesa.
Si ha paura di vedere la realtà così come essa è, ma ciò non è un atteggiamento realmente cristiano, perché il cristiano è prima di tutto uomo di osservazione che fa della virtù della prudenza il timone del proprio giudicare e del proprio agire.  
Corrado Gnerre
(Fonte: dalla rivista IL SETTIMANALE DI PADRE PIO)

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