giovedì 8 maggio 2014

un pastrocchio

Prese il pane e lo spezzò: il supermercato eucaristico di Kasper


ritagli-ostia_1(di Michele M. Ippolito su www.apalepapale.com) 
Può la Chiesa cattolica modificare la propria dottrina in materia di fede, cioè di Verità rivelata? Può, per essere più chiari, reinterpretare il Vangelo in maniera difforme sia rispetto alla lettera dei testi che alla propria tradizione per introdurre “soluzioni innovative”? Per centinaia di anni la Chiesa cattolica stessa ci ha detto di no. Il cardinale Walter Kasper, teologo tedesco, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani oggi, invece, ci dice che sì, in certi casi è possibile, anche se a determinate condizioni. Nulla di nuovo sotto il sole si dirà: da sempre prelati particolarmente progressisti provano ad interpretare Vangelo e mondo contemporaneo secondo la propria visione della vita, piuttosto che secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo. Tuttavia, stavolta Kasper potrebbe spuntarla e sarebbe una vera e propria rivoluzione nella Chiesa, che aprirebbe nuove prospettive per centinaia di migliaia di cattolici nel mondo.

La relazione di Kasper, l’interesse di papa Francesco

Kasper. L'ottuagenario teologo progressista tedesco appisolato durante la liturgia
Andiamo per ordine. Il 21 febbraio 2014 papa Francesco, al termine dei due giorni di concistoro sulla famiglia convocato anche per preparare il sinodo sullo stesso tema generale che si terrà il prossimo mese di ottobre, ha ringraziato pubblicamente il cardinale Kasper, dando implicitamente ad intendere che aveva gradito quanto l’alto prelato aveva scritto in un documento sul tema, spinoso, della comunione ai divorziati risposati, su cui da tempo si discute nelle comunità ecclesiali. “Ieri, prima di dormire, ma non per addormentarmi, ho letto – ho riletto – il lavoro del cardinale Kasper e vorrei ringraziarlo, perché ho trovato profonda teologia, anche un pensiero sereno nella teologia. È piacevole leggere teologia serena. E anche ho trovato quello che sant’Ignazio ci diceva, quel ‘sensus Ecclesiae’, l’amore alla Madre Chiesa. Mi ha fatto bene e mi è venuta un’idea – mi scusi eminenza se la faccio vergognare –, ma l’idea è che questo si chiama ‘fare teologia in ginocchio’. Grazie. Grazie”. Queste le parole di papa Francesco, che hanno spiazzato i commentatori di faccende vaticane. Qualche giorno dopo Francesco, però, intervistato da Ferruccio De Bortoli per il Corriere della Sera, ha usato termini diversi, più distaccati e prudenti: “I cardinali sapevano che potevano dire quello che volevano, e hanno presentato molti punti di vista distinti, che arricchiscono. I confronti fraterni e aperti fanno crescere il pensiero teologico e pastorale. Di questo non ho timore, anzi lo cerco.”
Ma cosa propone Kasper? In pratica la sua idea è quella di concedere, in casi da valutare volta per volta, la comunione ai divorziati risposati. Per fare questo, il teologo tedesco propone il superamento dell’esortazione apostolica “Familiaris Consortio” emanata da Giovanni Paolo II e datata 1981, laddove essa afferma che spetta ai tribunali ecclesiastici valutare in via esclusiva la nullità di un vincolo matrimoniale. “Alcuni divorziati risposati – scrive Kasper – sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio irrimediabilmente spezzato non è mai stato valido. […] Secondo il diritto canonico la valutazione è compito dei tribunali ecclesiastici. Poiché essi non sono “iure divino”, ma si sono sviluppati storicamente, ci si domanda talvolta se la via giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali.”
In pratica, Kasper afferma che i tribunali ecclesiastici, dove in genere viene certificata la nullità delle nozze al termine di procedimenti rigorosi ed approfonditi, possono essere messi da parte e sostituiti dalla decisione del singolo di avvicinarsi all’Eucarestia al termine di un percorso personale, se lo stesso fedele, magari aiutato da un sacerdote, ritiene che ci siano una serie di requisiti minimi. Insomma, il sacerdote potrebbe assolvere della confessione il fedele divorziato risposato se questi vuole, comunque, comportarsi da buon cristiano, ferma restando la valenza delle prime nozze. L’uomo, o la donna, resteranno dunque sposati per sempre alle persona con cui hanno consacrato davanti a Dio la loro unione, ma non saranno più considerati in stato di peccato e potranno vivere una piena comunione con Cristo.

La coscienza personale prima dell’insegnamento del Vangelo?


Benedetto!La coscienza personale, dunque, prima dell’insegnamento dal Vangelo e, solo successivamente, dalla Chiesa cattolica. Ognuno, però, ha la sua coscienza, ognuno potrebbe avere una verità diversa. Si profilerebbe così, la vittoria, neppure tanto silenziosa, di quel relativismo etico contro il quale Benedetto XVI ha speso la sua vita ed in particolare il suo intero pontificato. Per rafforzare la sua tesi, Kasper cita anche in maniera molto vaga alcune fonti e tra queste, a sopresa, c’è anche Joseph Ratzinger. Operazione scorrettissima, visto che Kasper è andato a ripescare un documento del lontanissimo 1972, quando il suo compatriota non era né vescovo, né cardinale e neppure Papa. E’ cosa nota a tutti che il futuro Benedetto XVi ha, nel tempo, rivisto alcune sue posizioni teologiche di gioventù. Come certa stampa di parte, Kasper usa anch’egli lo strumento di estrapolare dal contesto una dichiarazione di utilizzarla a suo piacimento, al servizio dei propri scopi. Per non parlare delle altre fonti patristiche che Kasper usa per sostenere la sua tesi: poche, senza riferimenti chiari e subito demolite dalla più approfondita analisi in materia, effettuata un paio di giorni dopo, dallo studioso Roberto Mattei, che è riuscito a provare che in realtà i padri della Chiesa non avrebbero dato ragione a Kasper.
 Francesco…
L’intera costruzione del cardinale tedesco, in realtà, è piena di falle ed illogicità, contrastanti non solo con il Magistero, ma anche con il Vangelo. D’altronde, nel rito del matrimonio non è lo stesso sacerdote, “Alter Christus” a pronunciare la frase “non osi separare l’uomo quello che Dio ha unito”? Probabilmente la frase, se i divorziati risposati potranno essere riammessi a fare la comunione sarà cambiata in “Dio vi unisce in matrimonio. Ma se il matrimonio poi salta, pazienza. Magari Dio non ci farà poi tanto caso.”
Kasper  inventa addirittura una formuletta in cinque punti, che rappresenta un percorso attraverso un divorziato risposato, in vigenza canonica del primo matrimonio, può tornare ad accostarsi all’altare.
1). se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio,
2). se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro
3) se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile
4). se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede
5). se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento, di “metanoia”, il sacramento della penitenza e poi della comunione?

Perché il paradigma di Kasper è un pastrocchio


Papa Francesco ha detto in maniera chiara che bisogna guardare ai casi dei divorziati risposati con spirito di misericordia, cercando di evitare di utilizzare esclusivamente della casistiche. Il Pontefice non ha chiarito in maniera approfondita il suo orientamento, ma è evidente che per lui un caso non sia uguale all’altro. Kasper, invece, per smontare l’utilizzo della casistica attualmente in vigore presso i tribunali ecclesiastici, crea a sua volta, una nuova casistica, ma anche le sue cinque regolette non possono assolutamente essere applicate a tutti i casi concreti. Il problema, non solo pastorale, ma morale e teologico, legato all’accostarsi al Corpo di Cristo in stato di comunione con Lui, non riguarda solo i divorziati risposati, infatti, ma anche solo coloro che divorziano per proprio volontà e poi non si risposano affatto, preferendo “relazioni ballerine”; coloro che semplicemente convivono; quelli che sono separati “de facto” e non hanno mai legalizzato questa loro nuova condizione e via di seguito. Insomma, le sfaccettature del problema sono tante ma Kasper, per “cambiare il paradigma”, parte da un caso specifico che riguarda solo una parte del problema.
Diciamo che un uomo si penta del fallimento nel suo primo matrimonio. Se si è veramente pentito, questo suo pentimento come viene dimostrato da quest’uomo? Con quale azione riparatoria dell’errore compiuto? Questo Kasper non lo dice. La donna portata all’altare è ancora sua moglie o no? Nulla ormai è scontato di questi tempi, ma pensiamo di sì. L’uomo, quindi, è pentito del fallimento ed anche del dolore che ha causato. Può cercare di ricucire lo strappo? Non ce n’è bisogno, dice Kasper: anzi, l’uomo deve escludere in maniera definitiva che il suo pentimento lo porti a tornare indietro da sua moglie. Infatti, ha già preso impegni con la seconda moglie, sposata con rito civile, ed è verso questa che, secondo Kasper, ci sono obblighi maggiori: se venisse meno, l’uomo attirerebbe su di sé nuove colpe (piuttosto che cancellare quelle pregresse). Genericamente, però, l’uomo “si sforza”, di vivere al meglio il secondo matrimonio a partire dalla fede e ad educare i propri figli nella fede. Magari, crediamo, mostrando sé stesso come esempio di buon cattolico, con tanto di imprimatur della Chiesa cattolica, visto che può tornare a fare la comunione davanti ai suoi ragazzi ogni festa comandata. D’altro canto, non è chiaro se quest’uomo vive, oppure no, in una condizione di peccato. Anche perché il termine “peccato”, semplicemente, non c’è più. Kasper non lo cita mai, nella sua relazione. Insomma, un pastrocchio.

Il pulpito preferito da Kasper: le sale stampaE’ il caso di andare alla radice della questione teologica, cioè di andare a leggere la Scrittura. Il Vangelo di Giovanni, nel capitolo 8, versetti 10 e 11 riporta le parole che Gesù disse alla adultera dopo averle evitato la morte per lapidazione. Dopo aver pronunciato la celeberrima frase “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, i suoi potenziali assassini si ritirano. A quel punto,“Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più.”

Si cerca di sostituire un precetto divino con una regola umana

Gesù è misericordioso? Senza dubbio. Salva, oltre alla vita, l’anima della donna adultera? Senza dubbio. Riconosce che lo stato di adulterio faceva vivere la donna nel peccato e che, quindi, questo stato era, in sé stesso, peccaminoso? Senza dubbio. Gesù chiama l’adultera alla conversione del proprio cuore. Le dice che non la condanna, ma le dice anche che non deve peccare più. Kasper, invece, chiede che venga assolto in confessione uno stato di peccato che Gesù, nel Vangelo, condanna senza mezzi termini. Sembra che il cardinale voglia sostituire un precetto divino con una regola umana, forse dimenticandosi anche un altro brano del Vangelo: “Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini”. (Mt 8, 9)
Kasper, ovviamente, non è isolato nelle sue posizioni. Basti pensare che in numerosi casi i vescovi che hanno risposto all’ormai famigerato “sondaggio” in 28 domande distribuito ai quattro angoli del globo terracqueo per capire quali sono le posizioni dei fedeli di tutto il mondo su argomenti spinosi quali le “situazioni matrimoniali difficili” hanno chiesto maggiore “indulgenza” per i divorziati risposati.

Marcello VenezianiMarcello Veneziani sul Giornale del 2 marzo 2014 in un articolo intitolato “Ricordati di santificare i divorziati” sostiene, a ragione, che la proposta di Kasper sta provando a “nobilitare la fine di un matrimonio dicendo che i separati sperimentano con dolore il fallimento del loro amore. Il dolore è di chi subisce la separazione e poi di chi ne patisce le conseguenze, economiche e non solo. Ma i divorzi nascono in prevalenza dal non sopportarsi più e pentirsi di essersi sposati, dall’innamorarsi di un’altra persona ritenuta migliore o più attraente, dalla sete di libertà, di vita, di gioia e gioventù, dai paragoni, gli esempi e le opportunità accresciute, dal progresso e dal libero mercato applicati all’amore, dalla centralità che ha assunto l’eros, dal desiderio del possibile rispetto alla prigione del reale.” Chiunque conosca persone separate o divorziate sa che tutto questo è drammaticamente vero. E’ innegabile che in troppi casi il “dolore” del “fallimento” è conseguenza diretta di una scelta personale effettuata in tutta coscienza, per finalità tutt’altro che nobili, senza preoccuparsi eccessivamente delle conseguenze. Queste persone sentono il “problema” della mancanza dell’Eucarestia nelle loro vite? Questa era, forse, la prima domanda che Kasper avrebbe dovuto porsi. Il “problema”, non è, magari, per tanti, l’esclusione dalla comunione come una privazione di uno status symbol? Il divorziato risposato non viene escluso oggi dalla vita della Chiesa, anzi, è invitato a esserne parte integrante proprio perché si trova in uno stato particolare.
 Il Vangelo e la Chiesa si rivolgono più ai peccatori che ai santi. Il laico divorziato risposato ha gli stessi doveri e diritti di tutti gli altri fedeli. Vive, però, uno stato di peccato dovuto alla continuità della propria relazione extramatrimoniale che non gli consente di potersi avvicinare con cuore puro all’Eucarestia. Si è detto spesso: come è possibile che la Chiesa consenta ad assassini e stupratori di potersi fare la comunione e ai divorziati risposati no? Il fulcro della risposta sta proprio nella contrizione, nel ravvedimento e nel perdono dei peccati da parte del Signore misericordioso attraverso un sacerdote. Se l’omicida e lo stupratore si pente realmente di quel gesto e si avvicina all’Eucarestia, lo fa come uomo nuovo, perché Gesù gli ha perdonato i peccati. Se si avvicina all’Eucaristia pur avendo avuto l’assoluzione sacramentale ma senza esserne realmente pentito, compie un vilipendio del sacramento. E’ il pentimento, collegato alla ferma volontà di non reiterare più il proprio peccato che rende degni di accostarsi al Corpo di Cristo.
Chi sostiene tesi simili a quelle di Kasper dice che troppi lacci e lacciuoli tengono lontana la gente dalla Chiesa. Bisogna, però, che la Chiesa piaccia a Dio e non agli uomini. Benedetto XVI, nel suo libro – intervista scritto con Peter Seewald intitolato “Luce del mondo” afferma: “Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chiedermi se stessi veramente annunciando il Vangelo”. D’altronde, Gesù era molto meno popolare del delinquente Barabba, come ci ricorda la Scrittura.

Accogliere è giusto, ma bisogna farlo sempre nella Verità


Un altro tedesco: il prefetto dell’Ortodossia, Mueller. Si è posto come argine alla mancanza di limiti del collega e conterraneo Kasper sui temi sacramentali
Papa Francesco ha detto che “dobbiamo avere tanta vicinanza per i fratelli e le sorelle che nella vita hanno provato il fallimento del matrimonio”. L’accoglienza di cui parla papa Francesco, ancora una volta, rischia di trasformarsi in un malaugurato permissivismo se chi ne interpreta le parole non è un buona fede. Ma l’accoglienza, senza la Verità, è un concetto vuoto. Io ti accolgo, se hai sbagliato, e di mostro la via giusta verso la riparazione del peccato. Non ti accolgo e poi ti spingo a rimanere nel peccato, perché altrimenti ti prenderei solamente in giro: quello che può piacere agli uomini, non è detto che piaccia anche a Dio.
Al sinodo, senza dubbio, le posizioni del cardinale Kasper troveranno la fiera opposizione di un suo collega, un altro cardinale tedesco, il cardinale Gerard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che, in una intervista pubblicata dall’Osservatore Romano il 22 ottobre 2013 diceva: “Sempre più spesso – scrive Mueller a tal proposito – viene suggerito che la decisione di accostarsi alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di ‘coscienza’, è già stato respinto nelle lettera della Congregazione del 1994.” Dunque,  se un uomo o una donna, divorziati risposati, sono convinti che il proprio matrimonio religioso non fosse valido, questo, comunque, “deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale.” Mueller ha poi ricordato che l’Eucaristia non è l’unico modo per entrare strettamente in contatto con Dio e che la Chiesa non abbandona i divorziati risposati ma intende accompagnarli in tutte le fasi delle loro vite. Kasper parla di misericordia, Mueller ricorda che un’altra delle caratteristiche di Dio è la sua giustizia.
Il sinodo straordinario della famiglia che inizierà nel mese di ottobre del 2014 potrebbe, dunque, portare novità dottrinali e, magari, tanti credenti e non credenti, saluteranno le novità approvate come un allineamento della Chiesa al sentire comune dei fedeli. Dimenticando la lezione di un grande scrittore cattolico, Gilbert Keith Chesterton che scriveva: “Non abbiamo bisogno, come dicono i giornalidi una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo.”
 (Fonte: di Michele M. Ippolito su www.apalepapale.com)

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