giovedì 16 gennaio 2014

Sant'Antonio del deserto

SANT'ANTONIO ABATE




Quando si parla di sant'Antonio si rischia sempre una certa confusione, sono due i santi più celebri a portare questo nome: sant'Antonio da Padova, frate francescano vissuto tra il XII e il XIII secolo e sant'Antonio Abate, eremita egiziano vissuto molto prima, tra il III e il IV secolo, precisamente tra il 251 (circa) e il 357 (!).

Il 17 gennaio celebriamo il secondo Antonio! Viene chiamato anche Sant'Antonio del deserto, sant'Antonio del Porcello (Sant'Antoni del porscéll) e in svariati altri modi. Questa "plurivocità" è già l'indizio di come questa straordinaria figura sia entrata in profondità nelle nostre culture e nelle nostre tradizioni.




La vita di sant'Antonio provoca molto gli uomini del nostro tempo, è infatti piuttosto difficile da comprendere per la mentalità contemporanea: ci troviamo infatti di fronte ad un monaco, precisamente al caposcuola del monachesimo. In particolare Antonio fu un eremita, uno dei più grandi eremiti della storia! 

Durante la sua lunga vita finirono le persecuzioni verso i cristiani, il martirio divenne sempre più raro, molti cristiani quindi cercarono un'altra via per seguire Cristo nel modo più serio e profondo: il monachesimo! In particolare l'eremitismo venne considerato un'ottima percorso di vita per superare con l'aiuto della grazia di Dio le tentazioni e purificarsi da tutte le cattive tendenze, crescendo nella carità.

Antonio nacque nel cuore dell'Egitto da una famiglia agiata. Dopo la morte dei genitori, a 20 anni, abbandonò il cospicuo patrimonio familiare per trascorrere una vita anacoretica, cioè ritirata, prima nel deserto vicino al paese natale e poi lungo le rive del Mar Rosso (fu costretto a spostarsi perchè i suoi concittadini - conoscendo la sua santità - non lo lasciavano proprio più in pace!), infine - sempre per sfuggire ai troppi curiosi - si rifugiò nel deserto della Tebaide, dove morì ultracentenario!

Un giorno l'ancor giovane Antonio vide poco lontano un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva si alzava e pregava, poi di nuovo a lavorare e di nuovo a pregare; era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera, che sarà due secoli dopo, la regola benedettina “Ora et labora” del Monachesimo Occidentale.

Dovette affrontare durissime prove e tentazioni, in particolare pensieri osceni, e un periodo di terribile oscurità spirituale. Fu anche tormentato dal demonio, che gli appariva nelle forme più svariate per trarlo in inganno. Ma Antonio resistette, salto nella fede. 




Molte persone che volevano dedicarsi alla vita eremitica giunsero presso di lui. Antonio, dopo aver operato guarigioni, liberato gli ossessi e istruito i nuovi discepoli formò due gruppi di monaci che diedero origine a due monasteri, uno ad oriente del Nilo e l’altro sulla riva sinistra del fiume, ogni monaco aveva la sua grotta solitaria, ubbidendo però ad un fratello più esperto nella vita spirituale; a tutti Antonio dava i suoi consigli nel cammino verso la perfezione dello spirito uniti a Dio.

Non dobbiamo però pensare che questo santo eremita fosse indifferente alla situazione dei suoi fratelli. Non lo era ordinariamente nella preghiera e non lo era straordinariamente quando intervenne per consolare i cristiani di Alessandria perseguitati dall'imperatore romano Massimino Daia e quando, su invito del grande sant' Atanasio, esortò gli alessandrini alla fedeltà verso il Concilio di Nicea del 325. Scrisse anche una lettera a Costantino in difesa di sant'Atanasio.

Nel 561 - due secoli dopo la sua morte - fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore e si diffuse grandemente il suo culto, soprattutto durante il Medioevo.

La fonte principale per la vita di Antonio è la sua vita scritta da Atanasio, è un best seller di tutti i tempi che consiglio di leggere!

Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore.





IL FUOCO DI SANT'ANTONIO
E IL FAMOSO PORCELLINO...


Quando le reliquie di sant'Antonio furono portate in Francia, a Motte-Saint Didier, nel XI secolo, venne costruita una chiesa in suo onore. In questa chiesa iniziarono ad affluire molti affetti dal Fuoco di sant'Antonio, che oggi sappiamo riferibile a due diverse malattie: l'ergotismo canceroso (causato da un fungo presente nella segale, utilizzata per il pane) e l'herpes zoster (causato dal virus varicella zoster). Le due malattie avevano sintomi simili (eritemi e vescicole, con relativi bruciori) ed erano quindi confuse. Venne anche costruito un ospedale e fu istituita una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli Antoniani, villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois.

Il Papa accordò a questi religiosi il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento. Il loro grasso veniva usato per curare il Fuoco di sant'Antonio, per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.

http://www.cattoliciromani.com/17-storia-della-chiesa-e-agiografia/53570-17-gennaio-il-grande-eremita-sant-antonio-oggi-piu-che-mai-segno-di-contraddizione? 



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