domenica 15 settembre 2013

tu chiamale, se vuoi, emozioni: il Vaticano II

La "percezione" che guidò il Concilio




Sempre allo scopo di capire come e perché sono successe certe cose nell'ultimo mezzo secolo, ripesco oggi un lungo articolo di padre Gheddo pubblicato recentemente sulla Nuova Bussola Quotidiana per commentarne alcuni spunti. Conoscendo l'animo sincero e generoso di padre Gheddo si può essere certi che esprime esattamente ciò che ha vissuto.

Inizio citazione (evidenziazioni nostre):
...ho seguito a Roma il Concilio Vaticano II (1962-1965), come giornalista dell’Osservatore Romano per le due-tre pagine conciliari quotidiane e “perito” per il Decreto “Ad Gentes”. Per noi, giovani sacerdoti, quello era il tempo dell’entusiasmo per la diffusione della fede cristiana nel mondo. Il Concilio aveva suscitato molte speranze, aveva riformato e ringiovanito la Chiesa, che (anche per Giovanni XXIII e Paolo VI e la presenza a Roma di circa 2500 padri conciliari!), attirava simpatie e consensi. Soprattutto era un Concilio “pastorale” e non “dottrinale”. Indicava con forza e chiarezza che l’”aggiornamento” delle strutture e il rinnovamento dei metodi pastorali avevano lo scopo primario di poter annunziare Cristo in modo credibile a tutti i popoli. Proprio la missione universale (“ad gentes”) alla quale noi missionari ci siamo consacrati!
La prima testimonianza che ci offre padre Gheddo è la percezione del Concilio Vaticano II:«il tempo dell'entusiasmo per la diffusione della fede» (perché? prima non si diffondeva?), «il Concilio aveva riformato e ringiovanito la Chiesa» (perché? prima era vecchia e stantìa?),«attirava simpatie e consensi» (di chi? e perché?), «annunziare Cristo in modo credibile»(perché? prima non si annunziava in modo credibile?)...

Questi argomenti avrebbero dovuto essere (così come lo sono ancor più oggi) proprio la base per non lasciarsi "entusiasmare" troppo dal Concilio Vaticano II, soprattutto alla luce del fatto che se i contenuti di verità non vengono sempre messi in primissimo piano, la fede si riduce ad un elenco di cose da fare e da dire.

Padre Gheddo parla di sensazioni, presenta una percezione sentimentalistica del Concilio: oh, che bello il Concilio, che entusiasmo il Concilio, il Concilio riforma, il Concilio ringiovanisce, il Concilio aggiorna, il Concilio rinnova, il Concilio indica come annunziare Cristo in modo credibile, cioè proprio la nostra missione... Non vi accorgete che qualcosa non quadra? La percezione del proprio entusiasmo come "forza trainante", l'entusiasmo del proprio "entusiasmo" per un imprecisato "ringiovanimento" guidato da un'entità enorme, fumosa, lontana, autonoma («2500 padri!») e perciò ottimisticamente considerata infallibile e non influenzabile. In parole povere, la confusione tra ciò che è il Concilio e la percezione che in giro si ha del Concilio.

Il dettaglio più eloquente è infatti quella precisazione: «per noi giovani sacerdoti...».

Padre Gheddo ci sta parlando di un état d'esprit - mi scuso per il termine francese, ma dire in italiano "percezione diffusa" non renderebbe abbastanza l'idea.

Quella diffusissima percezione ha infatti già diviso la storia in due, ha già creato un "prima" e un "dopo": quei «giovani sacerdoti», quando si parla di Concilio, sanno già che «ringiovanisce la Chiesa», che «attira simpatie e consensi», che permette di «annunciare Cristo in modo credibile»... e non credono di doversi interrogare sull'effettiva bontà di quei «ringiovanisce, attira, credibile».

Con parole di sincero entusiasmo padre Gheddo ha non solo dichiarato la rottura (anziché la tanto proclamata "continuità") ma ne ha anche evidenziato il motivo: quell'état d'esprit, quella diffusissima e schiacciante percezione di un evento epocale che riguarda la fede (i «giovani preti», altrimenti, si sarebbero sentiti condannati ad essere poco «credibili» nell'annuncio).

Andiamo al suo paragrafo successivo:
Giovanni XXIII aveva profetizzato che “il Concilio sarà una nuova Pentecoste della Chiesa”, come noi giovani sognavamo. Il mondo ci sembrava pronto alla semina evangelica. Ricordo che durante il Concilio e nei primi anni seguenti, proprio in forza dello spirito conciliare di fede, speranza e carità,aumentavano notevolmente le vocazioni sacerdotali e religiose, nascevano le “missioni diocesane” (dopo la “Fidei Donum” di Pio XII nel 1957) e molte iniziative e Ong contro “la fame nel mondo” che finanziavano le micro-realizzazioni dei missionari (sono stato tra i fondatori di Mani Tese al Pime di Milano nel 1964, con padre Giacomo Girardi).
Vi prego di fare attenzione anzitutto alle parole che abbiamo evidenziato. Il problema non è l'entusiasmo per qualcosa di concreto, ma è l'entusiasmo per un imprecisato "ringiovanimento" che viene percepito come necessario sulla base di una percezione diffusa(senza interrogarsi sul perché sia diffusa), accettando in partenza l'idea di farsi "riformare" da qualcosa di enorme e indefinito (che può pure consistere di «2500 padri»: ma sarebbe mai stata considerata accettabile una "riforma" che correggesse le deviazioni di quella diffusissima percezione?).

Prendiamo sul serio ciò che p. Gheddo, senza alcun intento polemico e senza alcuna retorica, ci testimonia: i giovani sognavano un cambiamento enorme. Perché mai lo sognavano? Ed era davvero necessario?

Il mondo «pronto alla semina evangelica»: perché? Prima non era pronto? Prima era forse impossibile seminare?

«Aumentavano notevolmente le vocazioni»: davvero? Tutto merito dello «spirito conciliare»? Senza il quale, prima del Concilio, le vocazioni erano scarse?

Nel paragrafo precedente p. Gheddo ha già risposto a queste domande. Nella diffusissima percezione della "rottura" operata dal Concilio, novello dogma orwelliano indiscutibile perfino tra i giovani sacerdoti, si stabilisce che prima non si era «credibili», ora il Concilio ci fa diventare «credibili», prima si era vecchi, ora il Concilio ci «ringiovanisce», prima il mondo non era «pronto alla semina evangelica», ora grazie al Concilo lo è diventato, prima le vocazioni scarseggiavano, ora negli anni del Concilio «aumentano notevolmente»...

È un état d'esprit, un'idea, anzi, più di un'idea: è uno "stato di spirito", una intoccabile e diffusissima convinzione, qualcosa che è entrato nelle singole anime, propagandosi come un'epidemia infettiva.

P. Gheddo non sta sproloquiando: sta testimoniando. Chi lo conosce sa che non è avvezzo a favolette o a trionfalismi da baraccone. Dice certamente il vero quando testimonia che da giovane prete, coi suoi confratelli, riconosceva al Concilio la capacità di «ringiovanire» la Chiesa (ringiovanimento la cui dinamica non poteva che essere imperscrutabile: dovevano fidarsi ciecamente!) e addirittura le virtù teologali e perfino i meriti che erano invece del Papa che non voleva il Concilio (Pio XII).

Vi prego di riassaporare lentamente l'«aumentavano notevolmente le vocazioni». Orwelliano. La percezione del Concilio supera il contenuto del Concilio stesso. Il Concilio, ancor prima di cominciare, sembrava già "indiscutibile" come un Dogma, è già "santificante" come un Sacramento.

Sentiamo ancora p. Gheddo:
Ma quando il Concilio finisce, la sua onda benefica incrocia il terremoto del “Sessantotto” (1968), che sconvolge l’Occidente cristiano e la Chiesa, anzi le Chiese cristiane. [...] In Italia, il “Sessantotto” è nato nel novembre 1967 con l’ “occupazione” dell’Università Cattolica di Milano da parte di un gruppo di studenti, si è rapidamente diffuso ad altri istituti di educazione, universitari, di liceo e scuola media e poi è dilagato con la violenza inarrestabile di uno “tsunami”. [...] Il movimento del Sessantotto, a me come a molti altri preti giovani, all’inizio piaceva. Ci pareva un movimento di rinnovamento della società, una presa di coscienza degli studenti e dei giovani di quei fermenti di novità che il Concilio Vaticano II aveva seminato nella Chiesa. Infatti era nato all’Università Cattolica di Milano. Ma pochi mesi dopo mi sono trovato all’opposizione, perché era evidente che si stava imboccando una via che faceva a pugni con la fede in Cristo e il “sensus Ecclesiae” della mia formazione cristiana e sacerdotale. Ho poi seguito da vicino e combattuto, con le mie piccole forze, il Sessantotto, sempre più lontano dalla Fede e dalla Tradizione cattolica umanizzanti. Promuoveva una mentalità individualista e protestataria, col risultato di far prevalere la protesta, la denunzia, lo sciopero, il moralismo.
Capite? Il Sessantotto era accompagnato dallo stesso état d'esprit che accompagnava il clima del Concilio Vaticano II.

Vi prego di notare come p. Gheddo, senza artificiosità né retorica né alcun intento polemico, presenta il Sessantotto praticamente con gli stessi termini con cui aveva elogiato il Concilio: rinnovamento, fermenti di novità, presa di coscienza ... 

In conclusione, dato che una buona percentuale di lettori di questo blog consiste di ideologizzati progressisti riassumo brevemente alcuni punti chiave:
  • diranno che qui si parlerebbe male del Concilio: se avessero letto almeno il titolo di questa pagina, capirebbero che qui non si parla del contenuto o della storia del Concilio, ma solo della percezione del Concilio, di quell'état d'esprit per cui già ovunque si "sapeva" acriticamente che il Concilio, qualsiasi cosa avesse fatto, era un«ringiovanimento della Chiesa» ...
  • diranno che qui si disprezzerebbero i "2500 padri conciliari", quando in realtà il problema è che quei 2500 venivano ovunque considerati come esecutori dei fermenti di novità (immaginate il giovane p. Gheddo al Concilio in mezzo all'entusiasmo generale, la gran voglia di aggiornamenti, l'idea di diventare finalmente «credibili» nell'annuncio ... );
  • ma soprattutto, eviteranno di riflettere sullo strettissimo legame che c'è tra la disordinata voglia di novità e la vita della Chiesa. Al punto da pensare che il Sessantotto sia stato il terremoto che ha immediatamente azzerato i presunti effetti del Concilio stesso;
  • e c'è ancora molto da riflettere sul fatto che la «riforma» della Chiesa debba essere guidata dal disordinato entusiasmo e da una voglia di novità.
Lo scopo di questa pagina e di altri miei interventi (recenti e prossimi) è di indurre i lettori a ragionare sulle circostanze che hanno portato ai problemi di oggi. Ragionamento vietatissimo dai progressisti.

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