mercoledì 16 gennaio 2013

cristianofobia

Hanno sfrattato la libertà.


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Hanno sfrattato la libertà. Non è una bella notizia, ma si direbbe che nessuno si lamenti in maniera preoccupante. Chi leva la voce, è zittito con una immediatezza che diventa violenta nei contenuti e nei modi. Il che non sembra proprio un esercizio corretto di logica.
In questi giorni ho ripreso in mano l’epistolario tra Clive Staples Lewis e S. Giovanni Calabria. In una lettera del 17 marzo 1953 lo scrittore anglicano osserva: “Le cose che dice riguardo alla condizione attuale degli uomini sono vere: anzi la situazione è ancora peggiore di quanto lei dice. Infatti non trascurano solo la legge di Cristo, ma anche la legge di natura, conosciuta dai pagani. Ora infatti non si vergognano dell’adulterio, del tradimento, dello spergiuro, del furto e degli altri peccati che, non dico i maestri cristiani, ma gli stessi pagani e i barbari condannarono.
Sbagliano coloro che dicono: “Il mondo ridiventa pagano”. Magari lo diventasse! In realtà cadiamo in uno stato ben peggiore. L’uomo post-cristiano non è per niente simile all’uomo pre-cristiano. I due distano l’uno dall’altro come una vedova da una vergine: non c’è niente in comune tra queste se non la mancanza dello sposo: ma è molto grande la differenza tra la mancanza dello sposo futuro e quella dello sposo perduto”.

Non si può dire che Lewis abbia torto. Semmai in questi decenni la distanza tra i due tipi di uomo si è acuita insieme con il progressivo superamento della condizione post-cristiana.
Non è certo bella la vedovanza della nostra cultura. La prima settimana dell’anno è un concentrato assai interessante del modo in cui ci si consola del lutto. Gli oroscopi hanno sentenziato per tutti e su tutto, anche sui rotocalchi che si distinguono per la professione di fede laicista. Mentre in Francia si discute della possibilità per due persone dello stesso sesso di poter ricorre all’inseminazione artificiale, due nostri connazionali rientrano in patria dagli Stati Uniti con un bebè che avrà un genitore uno e un genitore due. Mentre in Siria piovono proiettili sui bambini, da un’altra parte del mondo si leva l’allarme per gli elefanti. Mentre in Nigeria i cristiani sono diventati carne da macello, dalle nostre parti altri cristiani promuovono petizioni per il riconoscimento dei diritti civili. Mentre da noi si discute di tasse e di immobili, quelli che gli immobili li abitano non sanno più come tirare. Per non dire delle quotidiane violenze, delle sopraffazioni, dei litigi e dei rancori. E delle sentenze che contribuiscono a creare lo stordimento delle coscienze, l’assuefazione delle volontà, l’asservimento delle libertà dei singoli a quella libertà che qualcuno ritiene di dover finalmente offrire all’umanità.

Perché in gioco c’è la libertà. La mia e la vostra. La libertà di poter dire di no. La libertà di poter essere liberi dalla mentalità predominante. La libertà di poter essere ancora liberi per qualcosa. La libertà di poter essere protesi ad una, a dieci, a cento cose che rendono la vita degna di essere vissuta, e che sanno rendere la meta più banale e meno appariscente grande come un traguardo a lungo agognato. Non ci hanno nemmeno lasciata la libertà di essere cattolici che si riconoscono nella fede della Chiesa e che obbediscono al Papa. A qualcuno dà fastidio che si sia cattolici e basta. Devo tirarti di qua e di là, necessariamente. Sei libero di leggere e di propagare pensieri laicissimi che sono rivestiti di una patina conciliante di vangelo, ma non sei libero di aderire alla fede della Chiesa, cioè, tanto per esser chiari, alla fede nella quale Pietro ci conferma.
La Rivoluzione francese fu più clemente: tagliava le teste in nome della libertà. Ma almeno c’era qualcuno che la testa l’aveva usata. Oggi si preferisce evitare che vi siano teste da tagliare. Prevenire è meglio che curare, si dice. E così siamo portati ad una ghigliottina che non vediamo, accatastati sulle carrette moderne dei mezzi di comunicazione, della politica, del rinnovamento, dello slancio, del futuro. Aggiornamento, lo chiamiamo noi cattolici. Progresso, lo chiamano altri. Diritti civili, gridano da una parte. Futuro, fanno eco dall’altra.
E nessuno s’avvede d’essere invitato ad un funerale. Oppure, per essere più allegri, ad un matrimonio in cui lo sposo non giungerà mai.
Non hanno considerato, però, una cosa. Che si possa essere liberi dentro, anche quando si è rinchiusi nel carcere del conformismo.
La nostra libertà si chiama speranza. Sarà essa a rendere bella la nostra festa, e ad accenderla della presenza dello dello sposo. Perché lo sposo verrà, e verrà quando meno se l’aspettano.

Non è un caso che un pensatore sottile come Peguy abbia potuto far dire a Dio che la speranza è la fede che più ama:
“Quale non dev’esser la mia grazia e la forza della mia grazia perché questa piccola speranza, vacillante al soffio del peccato, tremante a tutti i venti, ansiosa al minimo soffio, sia così invariabile, resti così fedele, così eretta, così pura; e invincibile, e immortale, e impossibile da spegnere; come questa fiammella del santuario. Che brucia in eterno nella lampada fedele. Una fiamma tremolante ha attraversato la profondità dei mondi. Una fiamma vacillante ha attraversato la profondità delle notti.Da quella prima volta che la mia grazia è sgorgata per la creazione del mondo. Da sempre che la mia grazia sgorga per la conservazione del mondo. Da quella volta che il sangue di mio figlio è sgorgato per la salvezza del mondo”.

Hanno sfrattato la libertà. Non hanno soffocato, però, la speranza di poter essere liberi, perché non possono soffocare la grazia. E dalla grazia, ancora una volta, il futuro scaturirà più florido. Può darsi che sia meno civile, ma sarà sicuramente carico di eterno.

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