sabato 26 novembre 2011

Le domande che purtroppo non ci poniamo più
di d. Enrico Finotti
26-11-2011


Pubblichiamo ampio stralcio dal cap. 21 del volume La liturgia romana nella sua continuità per gentile concessione dell'editore Sugarco.

Vengono presentate in questo capitolo delle domande atte a stimolare una verifica sull’attuazione odierna nelle comunità cristiane di tutto il complesso liturgico previsto oggi dalla Chiesa. In particolare si tratta di valutare il carattere “sacro” della liturgia, dimensione che non può essere assolutamente assente da celebrazioni che vogliano essere all’altezza del Mistero che contengono e che devono comunicare. Alcune di queste domande sono intercalate da osservazioni critiche su aspetti mancanti o erronei in vari settori della concreta celebrazione liturgica.

1. Conosciamo veramente la liturgia del Vaticano II? La conosciamo nei suoi libri e documenti autentici, oppure la confondiamo con tante opinioni, riviste, scuole, che hanno divaricato da essa, introducendo costumi e mentalità che l’hanno avvilita, impoverita e sostituita con i gusti imperanti del momento? Sono conosciuti i Praenotanda ai nuovi libri liturgici, sono stati letti? Si conoscono veramente la struttura, la composizione e i testi dei riti attuali, o si celebra ancora con mentalità ed elementi rituali desunti per abitudine da ciò che è stato ormai da tempo superato?

2. Come la celebriamo nelle nostre chiese? Chi decide la modalità della celebrazione: la Chiesa o i ministri e i gruppi che volta a volta pretendono di gestirla creandola « a propria immagine »? Che ne è della precisa norma conciliare contenuta in Sacrosanctum Concilium n. 22 § 3: «Nessuno assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché nella Liturgia»?

3. Sono rispettati i tre luoghi celebrativi, costitutivi della riforma liturgica: altare, ambone e sede; o tutto si compie all’altare (anche i riti iniziali, l’omelia e i riti di congedo) per pigrizia e comodità, riducendo l’altare ad un tavolo da conferenza o da lavoro, soprattutto se ingombro di una oggettistica non conveniente? Come regola, dall’altare non si parla mai al popolo, ma sacerdote e popolo si elevano all’unisono a Dio nell’atto sacrificale e adorante che ha il suo vertice nella prece eucaristica.

4. Sono stati acquistati, vengono usati e sono degnamente conservati i libri liturgici: Messale, Lezionario, Evangeliario, Rituale, ecc., oppure si usano, in loro sostituzione, i foglietti domenicali?

5. Che ne è del senso del «sacro»: si prega ancora nelle azioni liturgiche, vi è il silenzio orante ed adorante? Il termine Mistero, come precedentemente detto, ha la propria radice nel greco myo = tacere, tenere chiuse le labbra. La pronuncia del vocabolo greco richiede fisicamente che le labbra si premano l’una contro l’altra, appunto per far silenzio. Il silenzio quindi è l’atteggiamento più adatto per proclamare il Mistero che si attua nell’azione liturgica. Mistero e silenzio si esigono a vicenda già nella radice dei due termini.

6. Il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è avvolto da quella «somma pietà», che nasce dalla coscienza che «è il Signore!», «veramente, realmente, sostanzialmente» presente? […]

7. Il carattere solenne della liturgia ha ancora diritto di cittadinanza o è ritenuto sorpassato e inadeguato ad una visione pastorale della liturgia e ai ritmi odierni della vita? È considerato il diverso grado della celebrazione: feriale, festiva e solenne, oppure tutto è livellato al comodo e al funzionale? La «nobile semplicità», voluta dalla riforma, intende veramente sopprimere ogni aspetto e manifestazione della «gloria» di Dio, oppure vuole promuovere proprio celebrazioni di alto profilo qualitativo?

9. Il canto sacro e la musica assolvono al loro ruolo secondo la natura propria della liturgia o vi è ormai anarchia e totale soggettivismo? Che ne è della necessaria approvazione dei canti liturgici da parte della Chiesa? Hanno il carattere « sacro » adeguato ad elevare i fedeli ai misteri divini e contribuire così all’opera di santificazione propria della liturgia? Oppure sono a carattere prevalentemente umanitario a servizio di una mera animazione sociologico-orizzontale dell’assemblea? I testi e le musiche con quale autorità sono proposti, o spesso “imposti”, a tutto un popolo? I criteri e l’autorità della Chiesa, oppure chi ha voce più forte o maggiore tecnica persuasiva? Si cura la “vera arte musicale”, oppure si apre la porta senza verifica ad ogni prodotto, pur - si dice - di essere vicini alla « vita » e ai problemi dell’oggi, disgustando il buon senso e l’intelligenza? Il canto gregoriano e la polifonia sacra classica so no sufficientemente eseguiti dalla schola cantorum, oppure sono stati totalmente eliminati o irrisi, contro il preciso e costante pensiero della Chiesa, privando di un inalienabile diritto il popolo cristiano e non consentendo ai giovani un confronto personale con la tradizione?

10. Nella liturgia della Parola e soprattutto nell’omelia vi è quel senso del sacro e quel riserbo che lasciano intravedere la presenza viva del Signore, unico Maestro? Oppure vi è un indebito protagonismo umano, talvolta teatrale, che distrae e vela la presenza del Signore «che parla al suo popolo»?

11. I gesti liturgici, sia dei sacerdoti come dei fedeli, quali: incedere, star seduti e in piedi, genuflettersi, inchinarsi, elevare le mani e tenerle giunte, dirigere lo sguardo, benedire, segnarsi, ecc., sono ispirati a gravità e devozione, oppure sono ormai del tutto simili al modo profano della gestualità della vita ordinaria?

12. Che ne è del rito del Battesimo, delle Esequie e del Matrimonio? Si celebra ancora il rito previsto dalla Chiesa o è ormai sostituito da una ritualità soggettiva, emotiva, individualizzata, su commissione dei richiedenti e al servizio delle loro visioni ideologiche e dei loro costumi di vita?

13. Come vengono celebrati i sacramenti della Confermazione, dell’Unzione degli infermi e della Penitenza? Sono debitamente rispettati i riti e le formule essenziali, oppure sono avviliti, decurtati e mutati, compromettendo anche la loro stessa validità?

14. L’Ufficio divino è celebrato in parrocchia almeno nei suoi due cardini: Lodi e Vespri? È celebrato con la forma liturgica e col popolo, oppure è ridotto a preghiera individuale, per soli gruppi, senza vesti liturgiche e senza canto, in un permanente e noioso recitativo?

15. L’Anno Liturgico viene effettivamente espresso, distinguendo i tempi solenni, da quelli penitenziali a quelli ordinari? Si usano i necessari arredi, oppure ci si limita al minimo? Si rispettano il carattere liturgico preminente delle feste e dei tempi sacri, oppure si ingombrano con forme devozionali e giornate particolari non in sintonia col mistero celebrato dalla liturgia?

16. Come si celebrano le Messe per i bambini, i ragazzi e i giovani, in ambito catechistico, nei campeggi, nei congressi e nelle parrocchie? Hanno la dignità e la fedeltà esigite dalla liturgia? Possono  essi, in tali liturgie, conoscere, celebrare ed essere poi in grado di trasmettere la tradizione liturgica della Chiesa? C’è il pericolo che essi, in un permanente giovanilismo, non entrino mai nella autentica e completa ritualità della Chiesa, neanche da adulti, abituati da sempre ad una “liturgia” sempre di gruppo e mai di popolo, ridotta, spoglia, pauperista, cameratista e “familiare”?

17. La liturgia celebrata nei gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali è quella della Chiesa, oppure quella dei loro leader?

18. Le varie forme di pii esercizi sono debitamente distinte dalle celebrazioni liturgiche, oppure si intrecciano con esse, confondendo la struttura dei riti e obliterando la specificità dei contenuti?

19. Coloro che assumono il rito nella forma straordinaria devono porsi dei precisi interrogativi: perché si compie questa scelta; quali i motivi; sono validi; c’è stato prima un sufficiente sforzo di capire e vivere il rito ordinario della Chiesa; cosa ci si attende da questa forma precedente; la si conosce in modo almeno minimale? Si deve inoltre considerare che per se stessa tale forma non può garantire l’assenza di possibili abusi. Il rito tridentino ha una impostazione giuridica ben definita e richiede la conoscenza di una gestualità complessa di non facile comprensione, che può essere talvolta di intralcio allo sviluppo di un autentico senso di pietà. L’interpretazione giuridica, se da un lato garantisce formalmente il corretto svolgimento della celebrazione, dall’altro può «uccidere lo spirito» fornendo la maschera per nascondere l’assenza di un vero spirito di adorazione. È forse per questo motivo che molti sacerdoti nel passaggio al rito del Vaticano II non hanno saputo celebrare con quell’atteggiamento di venerazione e rispetto che anche il rito rinnovato richiedeva? In tal caso non possiamo sospettare che il contesto di creatività liturgica che ha caratterizzato il postconcilio sia in qualche modo dipendente anche dall’interpretazione puramente formale della liturgia preconciliare e ne costituisca una sorta di reazione?

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