giovedì 13 ottobre 2011

Intervista a Gnocchi e Palmaro sul loro nuovo libro

 

Concilio Vaticano II il mito di un "superdogma" da cui uscire

La Chiesa cattolica sta attraversando una delle crisi più gravi della sua esistenza: apostasia e scandali morali la intossicano. Chi è cattolico ne rimane profondamente turbato e addolorato e qualcuno cerca, con coraggio intellettuale, una spiegazione di questo traumatico momento storico. Gli effetti hanno sempre una causa: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, con il loro nuovo libro di prossima uscita, mostrano che alla radice del dramma c’è una crisi di Fede che si è manifestata in tutta la sua virulenza a partire dagli anni Sessanta con il Concilio Vaticano II. Si tratta di un’analisi che farà scalpore poiché sono evidenziate le origini della crisi attuale e il lettore potrà trovare ricostruiti, con tutte le loro responsabilità, volti e fatti che sono stati mitizzati e posti in un alveo di intoccabilità.

Abbiamo rivolto alcune domande agli autori:
Il 7 ottobre esce il vostro nuovo libro, edito da Vallecchi. Un titolo e un sottotitolo come La Bella addormentata - Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà lasciano pochi dubbi sul contenuto che, come è prevedibile, susciterà polemiche.
Siamo preparati al fatto che il libro possa suscitare delle polemiche. Tuttavia, noi non l’abbiamo scritto per il gusto della provocazione. Quel titolo dice che noi amiamo la Chiesa, e che davanti a lei ci mettiamo innanzitutto in contemplazione di un mistero soprannaturale: la Chiesa è una madre bella e senza errore, perché non è una realtà solo umana, ma fondata dal Figlio di Dio. Certo, la Chiesa vive nella storia, e si intreccia con i problemi e con le miserie degli uomini, con le mode passeggere, con l’inimicizia senza posa del misterium iniquitatis. La stagione conciliare e post conciliare è un pezzo di questa storia bimillenaria: siccome c’è chi pretende di considerarla l’unica senza macchia e senza errori, allora è necessario che qualcuno sgomberi il campo da questa visione mitologica e leggendaria.

Voi insistete molto su questo concetto di “mito del Concilio”, una categoria che in qualche modo avete contribuito a elaborare insieme a un gruppo di intellettuali. Che cosa intendete esattamente con questa espressione?
Ormai è evidente quasi a tutti che il Vaticano II è avvolto da un aura mitologica che provoca reazioni rabbiose nei confronti di chi semplicemente ponga domande scomode su quell’evento e sulle sue conseguenze. Augusto Del Noce diceva che la modernità si caratterizzava per un inquietante divieto: quello di fare domande. Anche in casa cattolica c’è chi vorrebbe impedire di fare delle domande sul Vaticano II. Siccome noi parliamo del Concilio senza quella riverenza politicamente, teologicamente e clericalmente corretta così diffusa tanto fra i progressisti quanto fra i conservatori, qualcuno griderà allo scandalo. Magari senza aver letto il libro, come accade sempre più frequentemente. Ma questo fa parte del gioco e non ce ne stupiamo. Come Totò, siamo uomini di mondo: anche noi, a modo nostro, abbiamo fatto tre anni di militare a Cuneo.

Che cosa ci sarebbe di tanto “scandaloso” nel vostro libro?
L’aspetto più scandaloso è che non c’è nulla di scandaloso. È il lavoro di due cattolici che si trovano a vivere la crisi acuta del mondo cattolico di oggi e cercano di capirne i motivi. Una crisi teologica, filosofica, morale, liturgica, disciplinare. Dal punto di vista cronologico, questa crisi viene dopo il Concilio Vaticano II. Ovviamente, non tutto ciò che accade prima di un certo fatto né è anche la causa. Fra l’altro, nel nostro lavoro, noi sosteniamo che la crisi inizia e viene preparata molto prima. Ma non possiamo nascondere che in quel punto preciso della storia della Chiesa avviene qualche cosa di inedito che fornisce alle forze moderniste gli strumenti, gli uomini e i temi che tanto cercavano per avere la meglio.

Ma questa affermazione, per il pensiero dominante, è scandalosa…
Benissimo, non saremo certo noi a farcene un problema. Molti preferiscono pensare che la crisi viene dopo il Concilio, ma non a causa del Concilio. Il nostro libro, senza preconcetti e senza tesi precostituite, vuole mettere alla prova una simile interpretazione, che non può essere accettata come un assioma indiscutibile. Per sostenere un’ipotesi occorre argomentarla. Parliamone, discutiamone pacatamente, senza pretendere di chiudere la bocca a chi ha seri dubbi e vuole avere risposte chiare e precise. Noi non siamo d’accordo con coloro che si impegolano nella questione ermeneutica travisando le indicazioni di Papa Benedetto XVI e attribuendo al Pontefice il proprio pensiero. Costoro sovrappongono il proprio magistero a quello del Papa pensando di crearsi uno scudo imperforabile. Noi facciamo un’altra operazione; applichiamo l’ermeneutica del buon senso e arriviamo a una conclusione molto semplice e diffusa tra tanti buoni cattolici: se dopo il Concilio non è arrivata la primavera ma la tempesta, significa che qualche problema ci deve essere. Altrimenti si rischia di ritenere il triennio 1962-65 l’unico periodo immacolato della storia terrena della Chiesa. Errore in cui cadono tanti esegeti conciliari, ci si passi i termini rubati alla politica, sia di sinistra sia di destra. Anzi, ormai più di destra che di sinistra.

Il vostro libro arriva dopo quelli di Monsignor Brunero Gherardini e del professor Roberto de Mattei: che cosa dice di diverso e di nuovo?
Il nostro lavoro si inserisce in quella linea interpretativa e non sarebbe stato possibile senza il lavoro di Gherardini e de Mattei. Quello che c’è di diverso e di nuovo nel nostro testo dipende dal fatto che noi non siamo teologi, come Gherardini, e non siamo storici, come de Mattei. Noi prendiamo in esame altri aspetti di quell’evento: il fondamentale ed esiziale rapporto con i mass media e il loro linguaggio, l’abbandono del linguaggio giuridico e metafisico, la traduzione pratica nella vita della Chiesa dei cardini della filosofia moderna, la questione liturgica. E ci arriviamo sempre partendo dall’oggi. Questi temi, affrontati partendo dagli effetti che si vedono in questi tempi, sono la novità del nostro lavoro.

Conoscendo le vostre posizioni, molti sosterranno che il vostro lavoro è fondato su tesi precostituite.
Guardi, si può rispondere che le nostre tanto vituperatie posizioni non dipendono da una nostra scelta pregiudiziale ma dalla constatazione dello sfacelo di cui parlavamo prima. Abbiamo affrontato il tema in tutta serenità, senza cedere ad emotività e, soprattutto, come recita il sottotitolo, certi che la Chiesa si risveglierà. Sarebbe già un segno di risveglio il fatto che gli eventuali detrattori facciano il loro onesto lavoro argomentando serenamente, senza ricorrere a veti e scomuniche che, più che dolorosi, sono ridicoli.

Questo libro esprime una posizione minoritaria all’interno della Chiesa?
Al contrario. In questi ultimi anni è in atto un cambiamento epocale proprio nel rapporto fra Chiesa e Vaticano II. Si tratta di un cambiamento molto prudente, che non è ancora arrivato nelle diocesi e nelle conferenze episcopali, che non passa e non può passare attraverso atti formali di rottura o di rinnegamento del Concilio, perché il Vaticano II è un fatto, e il suo valore formale di Concilio della Chiesa cattolica è innegabile. D’altra parte, è impensabile che la Chiesa agisca come un Parlamento qualsiasi, che abolisce una legge o vi introduce emendamenti. Il Vaticano II è un concilio pastorale, e questo suo carattere non dogmatico rende non solo possibile ma necessaria una sana discussione, dentro la cornice dalla dottrina e della tradizione cattolica. Possiamo testimoniare che oggi come oggi vi sono moltissime personalità che nella Chiesa condividono tutte o molte delle tesi esposte nel nostro libro, anche se preferiscono esprimersi in modo ufficioso o tacere. Con un effetto paradossale: il movimento post conciliare progressista ha il fiatone e percepisce in modo netto la dissoluzione del mito del Concilio. I più strenui difensori della tesi di un “Concilio senza problemi” rischiano di restare, paradossalmente, alcuni ambienti conservatori, che sembrano ignorare il cambiamento epocale in atto dentro e fuori la Chiesa. Una situazione complicata, che durerà ancora molto tempo.

A. Gnocchi – M. Palmaro, La Bella addormentata - Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, Vallecchi, 13 €, pp. 248.                                   Cristina Siccardi

Da. Messainlatino

 

Recensione di p. Serafino Lanzetta FI sul libro di A.Gnocchi e M.Palmaro, La Bella Addormentata (Vallecchi Editore) che sarà presentato sabato 15 ottobre alle ore 18,00 nella chiesa di San Salvatore in Ognissanti (Borgo Ognissanti 42) di Firenze.

La Chiesa, i cattolici, il mondo e il no al mito del Concilio

Un altro contributo sul Vaticano II, non tanto elogiativo del mito trionfalistico che ha accompagnato questi cinquant’anni di ricezione conciliare, piuttosto di critica intelligente documentata e divulgativa, è venuto da poco alla luce: ha un titolo stimolante, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà, frutto di un lavoro esimio di due firme del cattolicesimo battagliero e non allineato a quegli stereotipi “da sacrestia”, A. Gnocchi e M. Palmaro. La Chiesa di quei “formidabili anni” è descritta come la Bella, perché sempre l’Immacolata Sposa di Cristo, ma addormentata, proprio come la fiaba. Qui il sonno è metafora di una crisi molto profonda, di cui parlava di recente e nuovamente il S. Padre in Germania, una crisi di fede, una crisi dell’identità cattolica. Cosa è successo nella Chiesa cattolica? Da dove ha preso corpo quell’ondata limacciosa di ottimistica quanto presuntuosa baldanza della novità, un modo sciocco eppure riaffermato di credersi nuovi e sempre al passo con i tempi, perché finalmente emancipati da un prima ecclesiale ed ecclesiastico insopportabile: una Chiesa, una liturgia, un predicazione non più tollerabili. Bisognava essere moderni. Purtroppo quei tempi moderni si rivelarono presto già superati dopo qualche anno, mentre alcuni tenacemente si affaticavano a rincorrerli. Il tutto come in grande sonno. O forse il sogno di vedere all’orizzonte la realizzazione di una Chiesa che non c’era, né poteva esserci. Si intrufolarono in questa compagine dell’ottimismo tante ideologie: una Chiesa dei poveri, una teologia della politica, una teologia della liberazione. Tanti cristiani, tanti uomini erano privati della libertà sotto l’egida disumana del comunismo, mentre uomini di Chiesa si intrattenevano sul come raggirare gli ostacoli per ammettere gli osservatori ortodossi al Concilio. Non si parlò punto del comunismo. Ecco come si fece. Eppure il Concilio si era prefisso di essere pastorale. Si gridava invece al cambiamento. A differenza del ribaltamento culturale ideologico, quello ecclesiastico aveva un “marchio”, d’autore: il Concilio Vaticano II. In nome di esso, abusandone, si volle re-iniziare ad esser cattolici.
Una cosa però sorprese gli uditori attenti: nel discorso inaugurale del B. Giovanni XXIII, Gaudet mater ecclesia, si intravedeva un nemico, che non era fuori, era in casa: i “profeti di sventura”, ovvero non il neo-modernismo, il materialismo scientifico, l’ateismo, i nuovi errori teologici, ma quelli che si industriavano a mettere il bastone tra le ruote al carro della felicità, che doveva partire speditamente. Purtroppo la sventura c’è stata, ma si è originata ahimè non dentro ma fuori, ed è penetrata come fumo all’interno: il mondo, dirà pentito J. Maritain, era entrato nella Chiesa, quel mondo che la Chiesa voleva incontrare ad ogni costo.
Non si tratta, comunque, di fare un’inquisizione al Vaticano II, che resta un concilio ecumenico della Chiesa cattolica, ma di collocarlo al suo giusto posto. Quel posto che il Concilio scelse: un ambito pastorale e non dogmatico-definitorio; un Concilio che non riassume l’intera Tradizione della Chiesa; un Concilio che non è la Chiesa, né è al di sopra di essa; un Concilio che resta tale e non può trasformarsi in un discrimine per appurare il grado di fede cattolica di un credente. Non era mai successo nella storia della Chiesa che un concilio determinasse l’essere cattolici. Era piuttosto l’inverso. Un cattolico non può non essere fedele e ossequioso al Vaticano II, ma non può neppure “credere” nel Vaticano II, come si trattasse di un dogma. Il Vaticano II non fu un “evento epocale”, che cambiò le sorti della Chiesa. O meglio, a guardare questi anni, sembra che lo fu, ma Gnocchi e Palmaro vogliono invece dire che il Vaticano II, come ogni altro concilio, non poteva esserlo, né deve esserlo. Essere cattolici implica la totalità della fede, così come ricevuta.
Una peculiarità di questo libro, appassionante anche per quel bell’italiano che fa scorrere le pagine, è l’analisi interessante della genesi del mito “Vaticano II”. La Chiesa pensò di affidare il suo Concilio ai mezzi di comunicazione. Tutto (o quasi) quello che si diceva in aula il giorno dopo lo si leggeva sui giornali, i quali anticipavano ai lettori i temi e gli orientamenti dei Padri nelle Assemblee generali, condizionando così l’andamento dei lavori. Non si tenne conto che «il mezzo è il messaggio», (M. McLuhan) e che, come dicono gli autori, «nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione» (p. 78). Si finì col sovrapporre al «trascendentale ideologico» della modernità quello tecnico della stampa e della TV, sì da produrre «‘il trascendentale ecclesiologico’ che da subito si impose come premessa per ‘fare’ e poi ‘comprendere il Concilio» (p. 82). Dopo cinquant’anni siamo ancora alle prese con la giusta ermeneutica del Vaticano II.

P. Serafino M. Lanzetta

Fonte: "Corriere Fiorentino" (inserto toscano del "Corriere della Sera"), 13 ottobre 2011, p. 17. 
 

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