venerdì 26 agosto 2011

SANT' ELENA A FERRANDINA


18 AGOSTO

FESTA DI SANT' ELENA
A FERRANDINA




Dómine Jesu Christe, qui locum, ubi Crux tua latébat, beátæ Hélenæ revelásti, ut, per eam, Ecclésiam tuam hoc pretióso thesáuro ditáres: ejus nobis intercessióne concéde; ut, vitális ligni prétio, ætérnæ vitæ prǽmia consequámur: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.











SECONDA LETTURA
Dall’”Omelia sulla Croce apportatrice di salvezza” di san Germano, vescovo
O letto, sul quale si è addormentato il Re della gloria!  
Qualsiasi morte non causata da malattia naturale che quindi non s'impossessa dell'uomo un po' per volta, ma interviene con violenza e prima del tempo, è cosa che tutti abborriscono e rifuggono. Ma una morte in croce è fra tutte la più obbro­briosa e la più ripugnante.
Eppure, quando fu stabilito fin dall'eternità che si compisse il mistero della croce per il bene di tutto il mondo, che nascesse il nuovo Adamo per rinno­vare il vecchio, Dio volle anche che fosse salvato per mezzo del legno colui che a causa del legno era incorso nella pena della morte. E siccome negli uomini era radicata questa comune persuasione riguardo agli uccisi di morte violenta, e ciò impe­diva di accogliere un tale mistero (tanto più che la legge di Mosè dichiarava maledetto chiunque fos­se appeso al legno), fu necessario, per arcano dise­gno di Dio, servirsi proprio di quel legno già prefi­gurato dal biblico serpente - figura a tutti odiosa e abominevole - e proprio ad esso venne accordata la virtù di dare la vita. Questa croce viene innalza­ta davanti ai giudei e, perché in essa venga riposta ogni speranza di vita, per arcana disposizione è conferito il potere di dare la vita a un oggetto ina­nimato e privo di vita.
“Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allo­ra saprete che Io Sono” (Gv 8,28). Quando infatti morì in croce, donò la vita a coloro che erano stati feriti dal pungiglione della morte. Isaia lo previde e se ne rallegra con l'assemblea dei fe­deli; e ciò che aveva udito senza parole per il suo ministero profetico, lo proclama ad alta voce in persona del Salvatore: «Ora mi alzerò, ora mi innalzerò, ora mi esalterò» (Is 33,10). Queste parole profetizzano l'esaltazione sulla croce e la gloria che l'Unigenito del Padre si acquista sulla croce. Si alza dal suo trono, discende sulla terra: «esulta come prode che percorre la via» (Sal 18, 6). Col sangue purissimo tratto dalla Vergine, egli si ricopre delle vesti dell'agnello, affinchè il lupo, adescato e attratto dalla sembianza, seguen­do il suo vizio lo assalga, e cosi lo scellerato si spezzi i denti nell'azzannare colui che era esente da ogni peccato.
Cristo si sentiva spinto alla ricerca della pecorel­la smarrita. Benché si fosse fatto per noi agnello, nello stesso tempo però, in quanto Dio, era pa­store e riconduceva ai pascoli celesti la pecorella che ne era stata rapita. Egli avanza per vendicare col legno la strage che il demonio aveva operata col legno e cavar fuori il chiodo col chiodo, ser­vendosi dello strumento di maledizione per distruggere la maledizione derivata dal legno. Dunque di così grandi beni è causa la croce, ed è scala sicura di salvezza per ritrovare la beatitudine perduta.
Quanto è amabile il tuo altare, o Signore degli eserciti, sul quale sei stato immolato come agnello e togli davvero il peccato del mondo! Lo togli in quanto Dio, ti immoli in quanto uomo. Benché in­fatti tu sia stato crocifisso nella debolezza della car­ne passibile, tuttavia fosti il Signore delle potenze che trascendono il peso del corpo e della materia, e la tua divina potenza si è manifestata pienamen­te nella debolezza umana, una volta che hai fiaccato e prostrato il nostro comune tiranno. E così la croce è motivo di forza e di gloria, non già di vergogna.
O letto sul quale si addormentò il Re della gloria reclinando spontaneamente il capo, e si abban­donò volentieri a quel sonno di vita, lui che asso­pito in quel sonno abbattè il nemico sempre desto, dopo aver spogliato il regno degli inferi! In tal modo contemplò la tua gloria il veggente di Dio, Isaia, che c'insegna anche un altro mistero quando dice: «Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato» (Is 6, 6-7). Ambedue le cose ti si addicono, o croce: tu sei letto e sei altare. Letto perché in te si è addormentato colui che è immor­tale; altare a causa della vittima per noi offerta e per quel singolare sacrificio che egli ha immolato per la salvezza del mondo: noi crediamo che tu sei l'altare dell'Agnello divino.
Ma ora, o croce, mi rivolgo a te e di nuovo stento a staccare le mie labbra dall'amore che mi attira a te. O croce, altare degno di ogni venerazione, accetta questo dono delle mie lodi e benedici il mondo intero!

responsorio
Ecco la croce del Signore: fuggano i suoi ne­mici! Il leone di Giuda,
* il germoglio di Davide ha vinto! Alleluia.
O croce benedetta, sulla quale ha trionfato il Re degli angeli,
il germoglio di Davide ha vinto! Alleluia.

Oppure:  Dalle «Opere» di san Giovanni Battista della Con­cezione, sacerdote
(Obras, Roma 1830; tom 3, esort. 1, pp. 4-5)
Il discepolo di Cristo, oltre a rinnegare se stesso, deve portare la sua croce
A chi vuole seguirlo, Cristo chiede due cose: che rinneghi se stesso e che prenda la sua croce. Le due richieste sembrano una medesima cosa. Infatti, la croce più grande e più pesante che un uomo porta e sperimenta sulla terra è quella del rinnegare se stes­so, non poter fare mai la propria volontà e vivere nella lotta con se stesso, crocifiggendo sempre i pro­pri desideri e la propria volontà così, come sono trafitti i legni della croce.
Ora, se il rinnegare se stesso è già una vera croce nella quale è riposta la perfezione cristiana, perché Cristo, dopo aver chiesto l'abnegazione, aggiunge an­che che prenda la sua croce?
Rispondo, in primo luogo, che agli uomini perfet­ti, dopo la piena abnegazione, Dio suole preparare un'altra croce interiore, segreta e nascosta a tutti, e nessuno sa come e quale sia, tranne Dio, che l'ha fatta così appropriata alla persona che la porta, che croce e persona sembrano una sola cosa. Infatti tale croce non si trova mai senza la persona crocifìssa, né la persona crocifìssa senza tale croce.
In secondo luogo, rispondo che rinnegare se stesso è una croce interiore che l'uomo stesso si va co­struendo ogni giorno della propria vita. Oltre a que­sta croce, ognuno ne ha un'altra che Dio ha fatto proprio per lui; in questa croce mai si potrà trovare bene, se prima non ha rinnegato totalmente se stesso. Infatti, se vuole essere inchiodato mani e piedi sulla croce, il che significa nelle opere e negli affetti, deve agire e voler patire solo per Cristo, sopportando le sofferenze che Dio gli vuole inviare; se invece voles­se agire secondo la propria volontà e i propri deside­ri, senza rinnegare se stesso, allora non potrà mai dirsi crocifisso.
In terzo luogo, rispondo che Cristo parla di due croci, una come rinnegamento di se stesso e l'altra con il nome proprio di croce, perché l'uomo sappia che la sua perfezione non consiste unicamente nella croce che da se stesso prende, ma anche in altra croce che Dio gli offre e gli uomini gli pongono sulle spalle.
In quarto luogo, aggiungo che è una misericordia grande di Dio che l'uomo, interiormente crocifisso con il perfetto rinnegamento di sé, abbia un'altra croce dall'esterno che lo aiuti a portare quella inte­riore, come chiodo che scaccia chiodo.  E  siccome ordinariamente la croce interiore è quella che più si fa sentire e più affligge, è di particolare consola­zione per l'uomo poter trovare un'altra croce este­riore che lo distolga da quella interiore. È vero che ambedue sono croci, ma è un sollievo cambiare cibo anche quando l'uno è insipido come l'altro. Se un uomo alza le mani in croce non può restare in quella posizione più di un quarto d'ora; ma se al di dietro gli viene posta una croce che sorregga la croce delle sue braccia, potrà resistere per molte ore. Allo stes­so modo. Dio alla croce interiore dell'uomo ne avvi­cina un'altra esteriore per aiutarlo a sopportare le pene che interiormente lo affliggono. Per questo Cri­sto a quelli che lo vogliono seguire, non dice soltanto di rinnegare se stessi, portando la loro croce interio­re, ma di prendere anche un'altra croce esteriore che li aiuti e li sollevi nelle pene e sofferenze interiori.

Responsorio                                          Lc 9, 23;  14, 27
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
* prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.

Orèmus.  Preces familiae tuae, quaésumus, Dòmine, cleménter exàudi: ut sicut de fèrvido beàtae Hélenae stùdio ubique gaudet, quae laeta desideràtum sanctae Crucis lignum invénit; ita eius méritis et précibus in caelésti glòria semper gaudére mereàtur. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.

Ad laudes

Ad Ben ant. Elena, madre di Costantino, venne a Gerusalemme per ritrovare la Croce del Signore.

orazione     Ti supplichiamo, o Signore, di esaudire, nella tua clemenza, le pre­ghiere della tua famiglia. E com'è motivo di gioia lo zelo di sant’ Elena, che ritrovò il desiderato legno della santa Croce, così i suoi meriti e la sua intercessione ci ot­tengano di raggiungere l'eterna glo­ria celeste. Per il nostro Signo­re …..


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