venerdì 29 luglio 2011

30 LUGLIO
S. GIUSTINO DE IACOBIS, VESCOVO

Missionario di San Vincenzo De' Paoli, vescovo titolare di Nilopoli e primo vicario apostolico dell'Abbissinia. Paolo VI canonizzandolo il 25 ottobre 1975 disse di lui: "ha un solo torto: quello di essere poco conosciuto». Nacque il 9 ottobre 1800 a San Fele (Potenza); il padre Giovanni Battista e la madre Maria Giuseppina Muccia con i loro quattordici figli, dei quali Giustino fu il settimo, formarono una famiglia ricca di fede cristiana. Nel 1814 tutta la famiglia si trasferì a Napoli, e qui il De Jacobis, scoprì la sua vocazione.

Il 17 ottobre 1818 entrò nella Congregazione delle Missioni fondata da S. Vincenzo De' Paoli.
Questa scelta maturò in lui atteggiamenti segnati da profonda umiltà, da saggia prudenza e da attenta carità.
Un modo di essere che si esprimeva in cortesia, rispetto, ascolto. Fu ordinato sacerdote a Brindisi il 12 giugno 1824 ed esercitò il sue ministero a Oria, a Monopoli, e a Lecce, dove era richiesto per la preparazione dei seminaristi, per la direzione spirituale, l'animazione dei ritiri, nonché per le opere di carità; ma si distinse soprattutto per le missioni al popolo.

Con Donna Elena Antoglietta promosse quella forma di evangelizzazione che si avvaleva del servizio della carità e che venne introdotta sotto forma di "Compagnia della Carità".

Nei quindici anni di ministero nel mezzogiorno d'Italia, una nota tra le altre distinse il De Jacobis: la sua capacità comunicativa, una comunicazione semplice e profonda. Aveva nel suo linguaggio dell'ispirato, ed i suoi pensieri erano sempre adatti a sollevare i cuori. E fu l'apostolo che parla col cuore; la sua parola attirava convinceva e convertiva proprio perché il suo modo di predicare era facile e popolare: tutti lo capivano. Nel 1836 tornò a Napoli come direttore dei novizi a San Nicola da Tolentino e poi come superiore alla casa chiamata "Dei Vergini" e fu angelo di carità nel colera come lo sarà a Massaua in una simile epidemia.

Una luce suprema irradiava i suoi passi, e veri miracoli lo accompagnavano nelle fatiche apostoliche.
Nel 1838 chiese ed ottenne dai Superiori di essere mandato nelle missioni estere ed il Prefetto di Propaganda Fide lo propose come Prefetto Apostolico "Abissiniae et Finitinorum Regionum". Si imbarcò a Civitavecchia il 24 maggio 1839, giorno dedicato alla memoria di Maria Ausiliatrice, e dopo cinque mesi di viaggio arrivò ad Adua, scelta come centro della missione, accolto dal P. Sapeto, il 13 ottobre. A Malta, durante una breve sosta della nave un fatto straordinario attirò su di lui la venerazione del popolo: mentre celebrava la S. Messa dalla Elevazione fino alla Comunione, apparve in alto sul suo capo Gesù Bambino raggiante di luce, che potè essere contemplato da molti fedeli.

In Abissinia il De Jacobis lavorò nel Tigre, ad Adua, e a Guala. E il suo primo pensiero fu quello di aprire un seminario per raccogliere e formare vocazioni per un clero indigeno: il seminario fu denominato "Collegio dell'Immacolata".

Per meglio riuscire nella sua missione volle assicurarsi le condizioni indispensabili per avvicinare il mondo ortodosso etiopico, per rivitalizzare la fede nel popolo. Incominciò con lo studio della lingua e dei costumi locali, si documentò sulla storia religiosa dell'Etiopia, penetrò con rispetto i sentimenti e gli atteggiamenti della gente cogliendo gli aspetti più significativi della psicologia del popolo abissino. Si propose di mantenere buone relazioni con i principi e le corti, evitare le controversie irritanti, coltivare le simpatie del clero, evitare fondazioni vistose e condurre vita modesta, non inserirsi in affari politici. La sua azione pastorale e catechistica poggiava solo sull'amore che lo spingeva a testimoniare Cristo.

E della realtà di questo amore diede prova ad un gruppo di monaci che lo ascoltavano e che egli amava profondamente: «Nel mio paese, egli disse, ho saputo che nell'Etiopia vi erano cristiani ed ho detto a mio padre e alla madre mia: datemi la benedizione, perchè voglio andare; Ma dove? mi dissero; ed io: voglio andare a vedere i miei cari fratelli che sono in Abissinia, voglio andare a dire a quei cristiani che io li amo assai. Il padre mio piangeva, la mia madre piangeva e col pianto mi diedero la benedizione e dissero: Và, figlio, dove Dio ti chiama. Da quel giorno io ho pregato: Signore, fammi prima vedere i miei cari cristiani di Abissinia, e poi fammi morire se ti piace».

I monaci erano per lui bocca, orecchie, mani, piedi ...
Per radicare la fede cattolica in mezzo ai fedeli doveva insegnarla nella lingua locale e perciò tradusse in quella lingua il catechismo del Bellarmino. Col seminario mirò ad educare catechisti e sacerdoti; e per l'educazione delle donne che erano emarginate dall'istruzione religiosa, pensò di far giungere delle suore che si potessero occupare di loro; ma questo desiderio rimase un sogno che si potè realizzare 18 anni dopo la sua morte.

Tutto questo fermento religioso fu turbato dalle ostilità del Vescovo Ordodosso Abuna Selama che prescrisse in una lettera circolare di scacciare dalle loro provincie il De Jacobis. Intanto dalla Propaganda Fide l'Abissinia fu elevata a Prefettura di cui sarebbe stato vicario apostolico il De Jacobis col titolo vescovile di Nilopoli. Il De Jacobis dilazionò a lungo la sua consacrazione episcopale perché non se ne riteneva degno e solo l'8 gennaio 1849 il Cardinal Massaia, Vicario Apostolico dei Galla, dopo aver lottato a lungo contro l'umiltà del De Jacobis lo consacrò vescovo in circostanze tragiche clandestinamente nella più squallida povertà di rito, quando la situazione politica e religiosa stava precipitando per le mene dell'Abuna Selama da una parte per le guerriglie dei vari Ras dall'altra. Sorsero di qui le persecuzioni di ogni genere, che si aggravarono sempre di più. La consacrazione episcopale del De Jacobis inasprì maggiormente l'Abuna Selama, che fece metter in prigione il De Jacobis con i suoi sacerdoti. Nel 1841- 42 accompagnò a Roma dal Papa Gregorio XVI e poi in terra santa un gruppo di notabili Abissini ancora eretici e di questi molti si convertirono. Il primo consacrato dalle sue mani, il convertito Abba Ghebré Michael morì sotto la sferza dei carnefici, altri subirono con lui maltrattamenti di ogni sorta.

Il De Jacobis ebbe la gioia di vedere realizzata la sua profonda aspirazione, quella di trasmettere una fede che diventò testimonianza; essi soffrirono prigionia e torture per la loro fedeltà alla fede fieri di appartenere a Cristo nella Chiesa cattolica.

Una ragazza tredicenne che conosceva molto bene il catechismo fu condotta dal monaco Tembien, fanatico inquisitore contro i cattolici da parte di Abuna Selama. Visto che la giovinetta rispondeva con coraggio e chiarezza a tutte le domande sulla sua fede e non acconsentiva alle promesse di una vita agiata e sicura, né mostrava paura alle minacce di essere precipitata dal monte, le furono legate le mani con catene di ferro fu sospesa in alto e fu lasciata così per un certo tempo; fu costretta a macinare il grano coi piedi legati, poi fu portata in giro per terrorizzare coloro che avrebbero voluto seguire la fede cattolica. I testimoni coraggiosi della fede cattolica erano il segno evidente di una comunità, che sapeva vivere nella preghiera e nella sofferenza, ma anche nella gioia di appartenere al Cristo nella Chiesa cattolica. Dopo poco più di venti anni di indefesso lavoro, di fatiche missionarie sostenute con grande zelo apostolico, consumato dalla fatica Giustino si spense con la testa appoggiata su un duro sasso, nella torrida zona di Eidelé, mentre era in viaggio verso Haleyl il 31 luglio I960. Abbà Emmetu in occasione della morte del De Jacobis scrisse al prefetto di Propaganda Fide: «Eminenza reverentissima si spense il sole che irradiava la nostra povera Abissinia; si seccò la fonte delle nostre speranze e svanì lo specchio delle più belle virtù." Il Cardinal Massaia testimoniò che in tutte le case dove si era fermato e da tutta la gente che aveva incontrato aveva sentito parlare dell'Abuna Jacob, dappertutto si piangeva, come se l'Abissinia avesse perduto "suo Padre".

Lo stesso Massaia disse: «allora compresi maggiormente quanto efficace e fecondo riesce l'apostolato, quando chi l'esercita è pieno di zelo, di carità, di abnegazione, e sa farsi piccolo coi piccoli per guidarli a Cristo».

E presenta così il Massaia la figura del Santo: «Iddio mandò all'Abbissinia nella vita del De Jacobis un libro vivente, una vera copia del vangelo, le inviò un apostolo, vera immagine di Gesù, mite ed umile di cuore, che fece conoscere a questo povero popolo meglio che con tutti gli insegnamenti possibili la vera idea della vita cristiana, che poi partorì alla Chiesa una moltitudine di nuovi fedeli degni dei primi secoli della fede».

In occasione della Canonizzazione del De Jacobis i vescovi Etiopi scrissero a Paolo VI: «Il Beato Giustino de Jacobis è stato padre per la chiesa d'Etiopia ; ha infatti rigenerato l'Etiopia cristiana alla finezza di quella fede cattolica, che aveva ricevuto dal suo primo apostolo: San Frumenzio».

Però la testimonianza più ammirevole l'abbiamo dal suo più acerrimo nemico, l'Abuna Selama che scrisse al re Teodoro: «Scaccia via l’ abuna Jacob, ma non l’ uccidere; è un santo e nessuno osserva meglio di lui la legge del Signore”.

Fu beatificato da Pio XII il 25 giugno 1939 nel 1° centenario della dazione della missione di Etiopia. E fu canonizzato da Paolo VI il 26 ottobre 1975 Caratteristiche: Genialità ardore apostolico slancio missionario d uomo tutto dedito a Dio e ai fratelli. Dottrina cristiana in amarica. Giustino de Jacobis ha scritto con la vita e con le opere una pagina di storia della chiesa tra le più interessanti.

SECONDA LETTURA
Dal discorso dì S. Giustino de lacobis ai cristiani di Adua (S. Pane, Vita del B. Giustino de Jacobis)
Voi siete padroni della mia vita
La porta del cuore è la bocca, la chiave del cuore è la parola. Quando io apro la bocca e parlo, apro la porta del mio cuore. Quando vi parlo vi dò la chiave del mio cuore. Venire e vedete. Nel mio cuore lo Spirito Santo ha piantato un grande amore per gli Etiopi cristiani. Ero nel mio paese. Nel mio paese ho saputo che in Etiopia vi erano dei cristiani, e ho detto al padre mio e alla madre mia: Padre mio, dammi la benedizione; madre mia, dammi la benedizione, perche voglio andare. Figlio mio, hanno risposto, dove? ... Voglio andare a dire a quei cristiani che li amo moltissimo. Dio mi ha esaudito. Dio mi ha fatto la grazia di vedere i cari cristiani di Etiopia. Adesso vi ho veduto, adesso vi ho conosciuto, adesso sono contento, adesso, mio Dio, ti benedico e ti dico, se ti piace, fammi morire, perché ora sono contento. Se Dio mi lascia un giorno, due giorni, quanti giorni vuole della mia vita, li debbo spendere per voi, perché Dio me li ha conservati per voi. Voi siete padroni della mia vita, perché Dio mi ha data questa vita per voi. Se voi volete il mio sangue, venite, aprite le mie vene, fatelo scorrere tutto; è tutto vostro, voi ne siete padroni, per le vostre mani io morirò contento. Se non vi piace di darmi cosi una morte che io bramo, allora tutta la vita che mi resta la voglio spendere per voi. Se siete afflitti, io verrò a consolarvi nel nome di Gesù Cristo. Se siete nudi, io vi darò la mia veste per coprirvi; se siete affamati, io vi darò il mio pane per saziarvi. Se siete ammalati, vi verrò a visitare. Se volete che io vi insegni quel poco che so, lo farò con grande piacere. Su questa terra non ho più padre, non madre, non più patria. Solo Dio mi resta ed il popolo cristiano di Etiopia. Chi possiede questo cuore? Dio ed il popolo cristiano di Etiopia. Voi siete adesso i miei amici, voi i parenti miei, voi i fratelli e le sorelle, voi mio padre e mia madre. Vedano i cristiani di Etiopia quel che c'è in questo cuore; Dio e il popolo cristiano di Etiopia, io farò sempre quello che vi piace. Volete che io stia in questo paese? lo qui starò. Volete che io parta di qui? Io partirò. Volete cbe io parli in questa vostra chiesa? Parlerò. Volete che io stia in silenzio? Vi starò. Io sono prete come voi, confessore come voi, come voi sono predicatore. Volete che dica la Messa? La dirò. Non volete? Non la dirò. Volete che confessi? Io confesserò. Volete che non predichi? Io non predicherò. Adesso che vi ho parlato sapete chi sono io. Adesso che vi ho aperto il cuore, vi ho dato in mano le chiavi del mio cuore. Adesso sapete chi sono io. Se mi domandare, dunque chi sono io? Vi rispondo: un cristiano di Roma, amante dei cristiani di Etiopia. Se qualcuno vi domanda: chi è questo straniero? Rispondete: un cristiano di Roma, che ama i cristiani di Etiopia più di sua madre, più di suo padre, perché ha lasciato gli amici, i parenti, i fratelli, il padre, la madre, per venirci a vedere, per dichiararci il suo amore. Sono quattro mesi che sono nel vostro paese; voi mi avete veduto, mi avete trattato, voi mi avete conosciuto. Ditemi: vi ho dato scandali? Ditemi, vi ho fatto del male? Credo di no. Ma se non vi ho dato scandali, se non vi ho fatto del male, neppure vi ho fatto del bene. Da oggi in poi io voglio mutare. Io sarò non solo come il vostro amico, ma ancora come il vostro servo. Avete bisogno di me? Venite, che farò tutto per voi. Se non volete venire, chiamatemi a tutte le ore, in tutti i tempi. Sono tutto per voi, lo ripeto. Voi Signore, nel cui cospetto io sono, voi sapete che quando parlo così non mentisco!

RESPONSORIO 1 Ts 2, 8; Gal 4, 19
Così affezionari a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita,
* perché ci siete diventati cari.
Figlioli miei, io di nuovo vi partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi,
perché ci siete diventati cari.

ORAZIONE O Dio, che per evangelizzare i popoli di Etiopia hai reso san Giustino De Jacobis capace di farsi tutto a tutti, concedi anche a noi, per sua intercessione, che la medesima fede ci unisca fraternamente nel servire la predicazione del Vangelo e la pace tra i popoli. Per il nostro Signore.

Paolo VI
Angelus del 20 ottobre 1975
L'apostolo dell'Abissinia
Oggi un santo nuovo: Giustino De Jacobis, «un grande figlio della Lucania, apostolo dell'Abissinia», come è stato ben detto. Già beatificato nel 1939 dal nostro venerato predecessore papa Pio XII. Nacque nel 1800 e morì nel 1860, appunto in Abissinia. Era un figlio di san Vincenzo, cioè un Lazzarista, apparteneva cioè alla Congregazione della Missione; e nel senso ormai specifico della parola fu missionario. Ha un solo torto, quello d'essere troppo poco conosciuto.
Sorge forse in alcuni la domanda: ma dobbiamo conoscerli tutti questi santi? non sono troppi? anche per le prossime domeniche di questo Anno Santo avremo altre simili cerimonie. Risposta: godiamo che la storia della Chiesa si arricchisca di beati e di santi; è la sua gloria, è la nostra gioia. La Chiesa ha sempre bisogno di nuovi santi; ne ha bisogno il mondo.
Perché, innanzi tutto, questo culto della santità umana, come la Chiesa lo concepisce e lo svolge, non solo non detrae alcunché al sommo culto di adorazione e di fonte unica di santità che è dovuto a Dio: si bene lo celebra. Il culto dei santi è un culto riflesso; è la gloria resa a Dio nelle migliori sue creature. Come ammiriamo l'opera di Dio, la sua onnipotenza, la sua grandezza, la sua bellezza nel quadro della natura, così, e tanto più, possiamo e dobbiamo vedere l'immagine di Dio, ricondotta alla sua perfezione, e irradiante la sua opera ed il suo amore, nello specchio di quei nostri più valorosi fratelli che risplendono della santità della grazia. « Mirabile è Dio nei suoi santi », dice un salmo (cf Sal 67, 36): ed è questa meraviglia divina che noi esaltiamo in queste singolari creature che sono i santi.
Diciamo di più. Noi abbiamo bisogno di esempi umani per arrivare alla superiore imitazione di Dio. Lo diceva anche san Paolo proponendo se stesso ad esempio: « siate miei imitatori, come io Io sono di Cristo» (1 Cor 4,16). Non trascuriamo questa pedagogia efficacissima dell'imitazione di modelli più grandi di noi. L'agiografia, cioè la scienza su i santi, può essere una scuola superiore di vita virtuosa, forte e bella.
Cosi sia per noi davanti alla galleria dei nuovi santi che la Chiesa ci espone davanti a nostro stimolo e a nostro contorto.

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