lunedì 11 aprile 2011

TEMPO DI PASSIONE


1. Origine e indole del tempo di Passione.

Con l'espressione «tempo di Passione» si intendono le ultime due settimane di Quaresima, ossia, secondo la nomenclatura introdotta di recente (1956), la I domenica di Passione con la sua settimana e la II domenica di Passione o delle palme con la Settimana santa.

Anticamente con questo nome si indicava la VI domenica di Quaresima, cioè la domenica delle palme: così nel Sacramentario Gelasiano primitivo, nel quale è chiamata «De Passione Domini» (Wilson, The Gelasian Sacramentary, Oxford 1894, p. 60), e nel Sacramentario di Angoulême; tale denominazione è presupposta anche da S. Leone Magno, che è solito chiamare questa domenica «festa della passione del Signore» (per esempio in Sermo 60, 1). A quel tempo, la V domenica non aveva ancora preso questo nome; anzi, talvolta essa veniva chiamata «dominica in Mediana» (Lectionnarium Wirceburgense, sec. VII), poiché conclude la settimana «mediana» della Quaresima. I libri e le fonti delle liturgie di tipo gallicano la denominano «V domenica di Quaresima» o «II domenica prima di Pasqua»; quelli mozarabici ed ambrosiani anche «Domenica di Lazzaro», a causa della pericope evangelica sulla resurrezione di Lazzaro che si leggeva in questa domenica. Successivamente, nel corso dell'VIII secolo, per la V domenica di Quaresima venne in uso il nome di «domenica di Passione». Di fatto, tuttavia, la beata passione del Signore cominciava ad essere celebrata solo a partire dalla VI domenica di Quaresima o delle palme, mentre la settimana dopo la V domenica manteneva l'indole generale del tempo di Quaresima.

Prima settimana di Passione, o settimana che segue la I domenica di Passione.
a. I nomi di questa domenica sono: «Dominica surda» o «tranquilla» (slavo «Nedelja gluha» o «thia», ungherese dei secc. XV-XVI «Siket vasárnap»), per via delle omissioni liturgiche del salmo Iudica e del Gloria Patri; «Dominica nigra» (slavo «Nedelja cerna», ungherese anche contemporaneo «Fekete vasárnap»), a causa della velatura delle immagini, che un tempo era fatta con veli di colore non viola ma nero; «Dominica mortis» (slavo «Nedeja smrtelna»), espressione con la quale, probabilmente, si voleva indicare la passione di Cristo. Le denominazioni medievali, oggi non più in uso, sono: «Dominica Iudica», dall'introito della Messa; «Dominica Isti sunt dies», dal primo responsorio del Mattutino; «Dominica Repus», dalla velatura delle croci (detta appunto «repositio»).

b. I testi liturgici mostrano ancora che originariamente questa domenica e la sua settimana non si discostavano dall'indole generale del tempo di Quaresima: tutte le orazioni, infatti, vertono sulla santificazione del digiuno e si cerca di inclulcare lo spirito della penitenza tramite l'esempio dei Niniviti (lettura del lunedì).
c. Tuttavia, l'idea della passione del Signore cominciò, a poco a poco, ad essere anticipata e celebrata anche in questa prima settimana, benché in forma moderata e, potremmo dire, quasi da lontano («con sordino»).

1) A tale aspetto, evidentemente, rimanda la frequente menzione dei «nemici», termine col quale, per accomodamento liturgico, si intendono certamente i nemici del Cristo perseguitato fino alla morte, mentre i lamenti proferiti nei loro confronti sono detti a nome del Cristo sofferente. Così i nemici del Signore sono delineati negli avversari di Daniele, tipo del Cristo, che dicono: «Consegnaci Daniele»; Pilato, a cui venne rivolta un'analoga richiesta, è rappresentato nella persona del re di Babilonia «il quale, costretto dalla necessità, consegnò loro Daniele»; la resurrezione del Signore, invece, è simboleggiata dalla liberazione di Daniele dalla fossa dei leoni (Messa del martedì). Nella lettura del venerdì, Geremia, tipo del Cristo, prega a suo nome: «Restino confusi coloro che mi perseguitano», poiché «hanno scavato una fossa per catturarmi, hanno teso di nascosto un laccio per i miei piedi» (lettura del sabato).

2) I canti corali di questa settimana invocano spesso Dio nella persona di Cristo che parla contro i suoi nemici: «Abbi pietà di me, o Signore, poiché i miei aggressori infieriscono contro di me» (introito del lunedì), «Abbi pietà di me, o Signore, perché sono perseguitato, liberami e salvami dalle mani dei miei nemici» (introito del venerdì e del sabato), «Volgiti, o Signore, e libera la mia anima» (offertorio del lunedì), «liberami dall'uomo iniquo e perfido» (graduale del martedì), «tu mi strappi dall'uomo violento, o Signore» (introito del mercoledì).

3) Le pericopi evangeliche, in particolare, preparano gli animi al ricordo della passione di Cristo, poiché narrano le profezie con cui egli predisse la sua passione e gli episodi in cui egli «si nascose», episodi mediante i quali, con efficace metafora liturgica, si allude alla sua divinità nascosta sotto il velo dell'umana sofferenza. Le profezie sono le seguenti: alle guardie inviate dai principi e dai farisei per arrestarlo Gesù risponde: «Per poco tempo resto ancora con voi; poi ritorno a colui che mi ha mandato» (lunedì); «il mio tempo non è ancora venuto» (martedì); la passione del Cristo è come un chicco di grano che cade in terra: deve nascondersi e morire, poiché «se muore, porta molto frutto» (sabato), in modo che «quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me» (ibid.). Gli episodi in cui Cristo si nasconde sono riferiti molte volte nelle pericopi evangeliche di questa settimana: «non voleva percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo» (martedì); «andò anche lui alla festa, non apertamente, ma quasi di nascosto» (ibid.); durante la festa della Dedicazione al Signore viene chiesto: «Fino a quanto terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, diccelo chiaramente» (mercoledì); quando i sommi sacerdoti e i farisei radunarono un consiglio contro Gesù e «decisero di farlo morire», allora «Gesù non si faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione prossima al deserto» (venerdì). Il vangelo del sabato si chiude con queste parole: «Così parlò Gesù, poi se ne andò e si nascose da loro».

d. Il ricordo della passione di Cristo è presente specialmente nella V domenica di Quaresima o I domenica di Passione. Il Signore scioglie un lamento contro i suoi nemici per mezzo del celebre salmo 42: «Fammi giustizia, o Dio... liberami dall'uomo iniquo e perverso»; l'epistola celebra il sacrificio redentivo della passione («Cristo,sommo sacerdote dei beni futuri»); il graduale, con le parole dei salmi 142 e 17, richiama la preghiera di Cristo nell'orto: «Liberami, o Signore, dai miei nemici, insegnami a fare la tua volontà»; il tratto, con termini profetici, dipinge quasi il supplizio della flagellazione: «sulla mia schiena hanno infierito i miei avversari»; il vangelo, dopo aver narrato la rivelazione della divinità di Cristo, riferisce che «(essi) presero dei sassi per gettarglieli, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio». L'applicazione della salvifica passione del Signore si ha nel sacrificio della Messa, come si evince dal canto di Comunione: «Questo è il corpo che sarà dato per voi; questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue...».

e. Il giovedì di questa settimana si caratterizza per l'indole strettamente ed esclusivamente penitenziale del testo della Messa, fenomeno che, secondo Callewaert, trova spiegazione nel fatto che questo testo corrisponderebbe a quello di un'antichissima Messa, originariamente celebrata il giovedì santo per riconciliare i peccatori che avevano fatto pubblica penitenza. Numerosi elementi consentono di dimostrare tale ipotesi: l'antifona all'Introito deve senza dubbio applicarsi ai peccatori («Tutto hai fatto secondo giustizia, perché abbiamo peccato contro di te... ma tu da' gloria al tuo nome e trattaci secondo la tua infinita misericordia»). Si offre, inoltre, l'esempio di due penitenti: Azaria, che prega il Signore: «Non distruggere la tua alleanza, non privarci della tua benevolenza... ma trattaci secondo la tua dolcezza», ed una peccatrice anonima, della quale il Signore dice: «I suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha dimostrato molto amore». Il graduale prepara i peccatori a celebrare e a partecipare di nuovo al sacrificio, per la prima volta dopo la penitenza: «Portate offerte ed entrate alla sua presenza». Anche le antifone a Benedictus ed a Magnificat, diversamente dal solito, non sono prese dal vangelo del giorno, ma fanno sintomaticamente avvertire la vicinanza della Pasqua, cosa che si addice meglio al giovedì santo: «Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino, fo la pasqua da te, coi miei discepoli» e «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi, prima del mio patire». Le orazioni primitive di questa Messa non si trovano nel Messale Romano, ma possono essere rintracciate nel Sacramentario Gelasiano del sec. VIII: «Concedi, o Signore, il perdono dei peccati, affinché possiamo celebrare le feste pasquali in modo a te gradito» (Sangallense 348, ed. Mohlberg, n. 448).

f. Il sabato della I settimana era in origine giorno aliturgico, come attesta il Sacramentario Gregoriano: «Sabbato ad Sanctum Petrum, quando helemosyna datur» (ed. Lietzmann, n. 72); nel Gregoriano primitivo: «Sabbato vacat. Dominus Papa eleemosynas dat» (Kl. Gambler, Wege zum Urgregorianum, 1956, 38). Lo Pseudo-Alcuino così riferisce questo fatto: «Il Papa, in memoria della devotissima donna, fa oggi alle membra di Cristo ciò che ella fece al Capo: perciò si astiene dalla stazione pubblica, ma non dalla celebrazione della Messa, poiché si occupa di distribuire l'elemosina» (De div. offic., 13: PL 101, 1200). In origine non si celebrava neppure la Messa; il testo della Messa fu composto successivamente, e i canti corali sono gli stessi del venerdì. ― Un altro uso caratteristico di questo sabato fu quello di mandare il «fermentum», cioè una particola consacrata, che ancora S. Innocenzo faceva portare dagli accoliti ai singoli presbiteri delle chiese titolari di Roma, affinché «non si sentissero separati dalla comunione del pontefice» (PL 20, 556 s.). Tale particola consacrata prendeva il nome di fermentum perché veniva mischiata alle particole consacrate nelle singole chiese titolari, allo scopo di significare l'unità ecclesiastica: come infatti il lievito [lat. fermentum], unito alla farina, fa gonfiare tutta la pasta, così anche l'Eucaristia è vincolo di carità. In tempi successivi l'invio del fermentum rimase in uso soltanto nelle maggiori festività; in questo sabato sembra che l'Eucaristia venisse mandata nei titoli per le Messe della Settimana santa. In molti codici riportanti la serie romana delle pericopi evangeliche si legge: «Questo sabato si manda il fermentum alla chiesa lateranense» (Th. Klauser, Röm. Kapit. Evang., p. 69, n. 98, e 110, 94). L'invio del fermentum cadde in disuso dopo il sec. XI, mentre la distribuzione dell'elemosina si mantenne per tutto il medioevo, come attestano Beleto e Durando: «In questo sabato il Papa è solito prendersi cura dei poveri di Cristo distribuendo l'elemosina» (Rat. div. off., 1, VI, c. 66, 1).



2. Leggi cultuali del tempo di Passione.
Velatura delle croci e delle immagini. a. Il sabato che precede la I domenica di Passione, «finita la Messa e prima dei Vespri, si coprono le croci e le immagini della chiesa con veli violacei; le croci restano coperte fino al termine dell'adorazione della croce da parte del celebrante il venerdì santo, le immagini fino all'intonazione del Gloria nella Messa della vigilia pasquale» (Rubr. spec. Miss.). Quest'ultima indicazione si trova anche nell'Ordo Hebdomadae sanctae instauratus (Missa sol. Vig. pasch., n. 2). Quando il rito della velatura abbia cominciato a diffondersi è ancora incerto: probabilmente non prima del sec. IX.

b. La ragione della velatura non è stata ancora individuata con esattezza. ― 1) Gli antichi liturgisti sostenevano che, per celebrare con maggior frutto la passione di Cristo, si coprivano le rappresentazioni della passione al fine di poter considerare meglio la passione stessa. Ma, se la ragione fosse questa, sarebbe logico esporre la croce e il crocifisso in modo ancor più intenso, piuttosto che velarli, né si capisce perché si debbano coprire anche tutte le altre immagini; del resto, il venerdì santo, quando la celebrazione della passione del Signore raggiunge il suo apice, la croce, velata fino ad allora, viene scoperta. ― 2) Altri autori cercavano la ragione della velatura nella storia dell'arte: nel periodo romanico, i crocifissi rappresentavano il re di eterna gloria, non nudo, ma vestito, e con in testa una corona d'oro e di gemme al posto della corona di spine: perciò, quando nel tempo di Passione si cominciò a venerare il servo sofferente del Signore, «il quale non ha apparenza di bellezza né splendore» (Is. 53, 2), si ritenne opportuno velare l'immagine del Cristo glorioso. ― 3) Thurston individua un'altra ragione storica nell'ipotesi secondo cui questa velatura sarebbe un retaggio della separazione dei penitenti nella chiesa: i penitenti, infatti, erano circondati da un velo, in modo tale da non essere guardati e da non poter vedere la Messa. Successivamente, quando ormai tutti i fedeli ricevevano le ceneri al posto dei penitenti, col velo grande si copriva l'altare maggiore e, in epoca posteriore, soltanto la croce e le immagini. Questo velo grande era chiamato «velum famis» (Hungertuch, Smachtlappen): in molti luoghi, nel medioevo, veniva messo fin dall'inizio della Quaresima e spesso era di colore nero [1].

c. Norme liturgiche per la velatura. ― 1) Devono essere coperte non solo le croci, ma anche tutte le immagini (quindi le pale e le statue degli altari, e i quadri e le statue collocati dentro la chiesa ma fuori degli altari), per tutto il tempo di Passione, anche se si celebra la festa del Titolare o del Patrono; l'immagine di un Santo non può essere scoperta neppure in occasione della sua festa (Decr. S. R. C. 926, 2 e 3396). ― 2) Tutti i veli devono essere di colore viola e non devono recare immagini dipinte o ricamante, poiché sono proprio le immagini che bisogna coprire (Decr. 2524, 4; 3110, 12; cfr. 3108, 11). Il giovedì santo la croce dell'altare maggiore, per il tempo della Messa, si copre con un velo bianco. ― 3) Le immagini della Via Crucis possono restare senza velo per tutto il tempo di Passione (Decr. 3638, 2) [2].

Omissioni liturgiche. Si omettono: a. Il salmo 42 Iudica all'inizio della Messa, verosimilmente perché l'Introito della domenica di Passione è composto con questo salmo e la liturgia cerca di evitare le ripetizioni. Per analogia, per tutto il tempo di Passione il salmo Iudica si deve omettere nelle Messe del Tempo [non però nelle Messe dei Santi o nelle Messe votive] [3]. b. Si omette anche il Gloria Patri all'Introito e al Lavabo, come pure all'«Asperges me» prima della Messa solenne conventuale o parrocchiale; nell'Ufficio divino, all'invitatorio e a tutti i responsori. Non è certo se questa omissione sia un retaggio dell'uso antico di recitare i salmi senza Gloria Patri. Durando le assegna la seguente ragione spirituale: «Si tralascia il Gloria Patri, perché tale versetto è finalizzato alla lode della Trinità, che nella passione del Signore (che si ricorda a partire da questo giorno) fu disonorata. Cristo, infatti, che nella Trinità è la seconda persona, fu disonorato» (1, VI, c. 60, 4).

Nelle Messe, anche festive, si dice il prefazio della santa Croce, a meno che la Messa non abbia un prefazio proprio; nell'Ufficio divino si dicono gli inni della Passione composti da Venanzio Fortunato «Vexilla Regis» e «Pange, lingua».

P. Radó, Enchiridion liturgicum, Romae-Friburgi Brisg.-Barcinone, 1961, pp. 1168-1174
Traduzione di Daniele Di Sorco



[1] Una ragione storica analoga, ma più convincente, è offerta dal Dizionario pratico di liturgia romana a cura di R. Lesage, Roma 1956, pp. 330-31: «Il velo viola (o almeno non trasparente) che nasconde la croce e le immagini dei Santi sembra doversi ricollegare all'uso del cosiddetto "velo quaresimale", con il quale nell'alto medioevo si nascondeva l'altare, in segno di lutto e penitenza, e che si toglieva al momento in cui nel Passio del mercoledì santo si cantava: Velum templi scissum est. L'uso del velo poi fu ristretto alla croce, che restava nascosta per tutta la Quaresima. La rubrica che ne limita l'uso al tempo di Passione si trova codificata per la prima volta al sec. XVII, nel Caeremoniale Episcoporum». In ogni caso, qualunque sia l'origine storica di questo rito, il suo significato mistico è facilmente comprensibile: si nascondono le immagini del Santi per concentrare l'attenzione su Colui che è stato trafitto, mentre la velatura delle croci rimanda agli episodi evangelici, presenti in quasi tutte le pericopi della settimana di Passione, nei quali Cristo si nasconde, quasi a voler significare che la sua divinità, pur non venendo mai meno, è messa in ombra dalla sofferenza, dalla debolezza, dal disprezzo. La chiesa priva di immagini e coperta di veli viola richiama in modo efficace lo stato d'animo che dovettero avere i discepoli nel travagliato periodo che precedette la passione e la morte del Signore (n.d.t.).

[2] La velatura delle croci e delle immagini, secondo le norme indicate, può essere effettuata anche nelle chiese officiate abitualmente nella forma ordinaria del rito romano: «L'uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il venerdì santo; le immagini fino all'inizio della Veglia Pasquale» (Congr. per il Culto Divino, Lettera circ. Paschalis sollemnitatis, 16 01 1988, n. 26) (n.d.t.).

[3] Che tale spiegazione sia per lo meno insufficiente è dimostrato dal fatto che il salmo 42 si tralascia anche nelle Messe dei defunti, nei cui formulari non si trova alcun testo desunto dal salmo medesimo. Ciò induce piuttosto a pensare che vi sia una certa connessione tra le funzioni strettamente penitenziali e l'omissione del salmo Iudica, le cui espressioni di gioia e di speranza parvero forse inadatte a circostanze così austere (n.d.t.).

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